Il Grande Gatsby, ovvero la morte del sogno

domenica 19 maggio 2013 Posted by tfrab 0 comments
Può darsi vi venga voglia di leggere "Il Grande Gatsby" in questi giorni, come è capitato a me. È probabilmente una buona idea: il romanzo non è lungo, e se andate a vedere il film appena uscito, probabilmente, lo apprezzerete di più. Se, di fronte alle innumerevoli traduzioni ed edizioni in commercio, avrete dei dubbi, mi sento di consigliarvi l'edizione Feltrinelli, curata da Franca Cavagnoli. Anzitutto perché è una traduzione ben fatta, e non soffre per l'età come altre di cinquant'anni fa. Poi per l'introduzione, che vi consiglio di leggere solo dopo aver finito il romanzo, per evitare spoiler. Di seguito l'inizio:

"Più che un personaggio reso memorabile dalla penna di Francis Scott Fitzgerald, Gatsby è un luogo – vasto, suggestivo, struggente. Il contorno vago di Gatsby, di cui il suo creatore era il primo a essere consapevole, si riempie a poco a poco nel corso della lettura della concretezza non solo di un uomo bensì di un universo intero: una natura umana molto fragile, il sentimento del tempo, un periodo ben preciso nella storia degli Stati Uniti. È un luogo dai confini sfumati che contiene il sogno di un uomo, forse il principale artefice dell’infrangersi di quello stesso sogno, incapace com’è di confrontarsi con il concetto di perdita: di un amore, di un sé divenuto ormai altro e soprattutto dell’Altro divenuto ancora più altro da sé. È uno spazio intriso di rimpianto, della impossibilità di rinunciare al proprio ideale di amore, di accogliere il passato nel presente, e nel contempo intriso del rovescio del rimpianto: un’illusione che si presenta sotto forma di attrazione magica e irresistibile. È un posto indefinito, impregnato di una specie pervicace di idealismo che porta chi ne è soggiogato a costruire da sé la propria infelicità, in cui regna l’angoscia del tempo che scorre – le parole legate al tempo nelle sue varie declinazioni ricorrono nel romanzo circa quattrocentocinquanta volte – e l’impotenza di fronte all’irreversibilità della Storia e delle storie piccole di ciascuno."

Questa immagine spiega, in maniera molto succinta, la trama del romanzo. NON APRITELA se non conoscete la trama
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La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande

sabato 18 maggio 2013 Posted by tfrab 0 comments

“The Signal and the Noise”, di Nate Silver, rappresenta una delle cose migliori mai lette sulla statistica, e sulla sua applicazione al mondo reale. Col passaggio da analogico a digitale l'informazione disponibile è letteralmente esplosa. Ogni giorno, nel mondo, vengono prodotti molti più dati di quanti il cervello umano sia in grado di gestire ed usare. il rischio, paradossale, è che proprio l'abbondanza di informazioni finisca per rendere le persone più ignoranti, per la difficoltà a discriminare il segnale che interessa in mezzo ad un rumore sempre più forte.

L'approccio suggerito da Silver è ispirato ad un celebre verso di Archiloco "la volpe sa molte cose, il riccio una sola grande". Le "volpi" teorizzate da silver sono prudenti, consapevoli dei limiti della conoscenza, disposte a vedere il mondo in tonalità di grigio piuttosto che in bianco e nero. Lo strumento matematico principale per ottenere dei buoni risultati è il teorema di Bayes, che viene citato a più riprese.
Si passa attraverso molti campi: predizione dei terremoti (c'è anche un capitolo dedicato a Giampaolo Giuliani), riscaldamento globale, attacchi terroristici, crisi economiche, illustrando le cause di clamorosi fallimenti ed evidenziandone le cause più profonde.
La conclusione?
“our bias is to think we are better at prediction than we really are. The first twelve years of the new millennium have been rough, with one unpredicted disaster after another. May we arise from the ashes of these beaten but not bowed, a little more modest about our forecasting abilities, and a little less likely to repeat our mistakes.”

C'è da sperare che abbia ragione, benché i precedenti non siano molto incoraggianti.
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