Il grande Milo Temesvar

giovedì 30 dicembre 2010 Posted by tfrab 0 comments
“Alla fiera del libro di Francoforte alcune personalità del mondo dell’editoria si ritrovano un giorno a pranzo. C’erano Gaston Gallimard, Paul Flamand, Ledig-Rowohlt e Valentino Bompiani. Vale a dire lo stato maggiore dell’editoria europea. Commentano questa nuova follia che si è impossessata dell’editoria, che consiste nel dare anticipi sempre più alti ad autori giovani che non hanno ancora dato prova di sé. A uno di loro viene in mente di inventare un autore. Il suo nome sarà Milo Temesvar, autore del già noto Let Me Say Now, per cui l’American Library ha già offerto quella mattina cinquantamila dollari. Decidono quindi di far circolare questa voce e di stare a vedere cosa sarebbe successo.
Bompiani torna al suo stand e racconta la storia a me e a un mio collega (all’epoca, lavoravamo per lui). L’idea ci seduce e iniziamo a passeggiare per gli stand della fiera parlando qua e là con fare misterioso di questo Temesvar che presto sarebbe diventato famoso. La sera, durante una cena, Giangiacomo Feltrinelli viene verso di noi, tutto eccitato e ci dice: “Non state a perder tempo. Ho già comprato io i diritti mondiali di Let Me Say Now!” Da allora, Milo Temesvar è diventato per me molto importante. In seguito ho scritto una recensione a un libro di Temesvar, The Patmos Sellers, che appariva come una parodia di tutti i venditori di apocalissi. Presentavo Milo Temesvar come un albanese che era stato cacciato dal suo paese per deviazionismo di sinistra! Aveva scritto un libro ispirato a Borges sull’uso degli specchi nel gioco degli scacchi. Per la sua opera sulle apocalissi, avevo anche proposto il nome di un editore che era molto chiaramente inventato. Ho saputo che Arnoldo Mondadori, all’epoca il più grande editore italiano, aveva fatto ritagliare il mio articolo su cui aveva appuntato in rosso: “Comprare a qualsiasi prezzo”.
Ma Milo Temesvar non si è limitato a questo. Se leggete l’introduzione al Nome della rosa, vi è citato un testo di Temesvar. Ho quindi ritrovato il nome di Temesvar in alcune bibliografie. Di recente, per fare una parodia del Codice Da Vinci, ho citato alcune delle sue opere in georgiano e in russo, provando così che ha dedicato all’opera di Dan Brown degli studi molto acuti. Insomma, ho vissuto tutta la vita con Milo Temesvar.”
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Il museo dell’innocenza– O Pamuk

domenica 26 dicembre 2010 Posted by tfrab 0 comments

pamuk-museoL’ultimo romanzo di Orhan Pamuk parla di una storia d’amore bellissima e tragica, che nasce nella Istanbul degli anni ’70. L’inizio del libro è giocato sul contrasto tra l’ambiente di estrazione del protagonista del libro, Kemal, e della sua promessa sposa, Sibel, rispetto alla Istanbul popolare, incarnata dalla bella Füsun. La vita porterà Kemal a dover fare un scelta difficile, che passerà necessariamente attraverso il sacrificio: come avverte uno dei personaggi minori del romanzo, Çetin, richiamando la storia di Abramo durante la īd al-aḍḥā:

“[…]Se doniamo ciò che più di prezioso abbiamo a qualcuno che amiamo profondamente, senza aspettarci nulla in cambio, solo allora il mondo diventa un posto meraviglioso”

agli occhi del lettore l’epilogo degli eventi potrebbe apparire quanto mai triste, eppure Kemal, il protagonista del libro, chiede esplicitamente che il libro si chiuda con la frase:

“Tutti devono saperlo: ho avuto una vita felice”

La contraddizione è solo apparente, e risulta chiara quando si vada a considerare il tema più importante del romanzo: il Tempo. Infatti:

“[…]ricordare il tempo è fonte di dolore per la maggior parte delle persone. Sforzarsi di immaginare la linea che unisce i singoli istanti […] ci rattrista sia perché avvertiamo la sua inesorabile fine, cioè la morte, sia perché invecchiando, comprendiamo dolorosamente che la linea in se è priva di senso. I singoli istanti, invece, possono regalarci una felicità che non si esaurisce per per centinaia di anni[…]”

Insomma, la ricerca del tempo perduto è una necessità ineluttabile, di fronte alle pene d’amore, ai lutti della vita e ai cambiamenti feroci che attraversano Istanbul, che sembra perdere un po’ della sua anima con la modernizzazione, forzata dall’ingenua illusione di farsi facilmente “europei” a dispetto delle proprie radici.

Il fantasma di Proust, e della sua Recherche, aleggia per tutto il libro, e si fa più forte verso la fine, quando viene esplicitamente citato più volte. Se nella Recherche è l’opera d’arte a dare senso alla Vita, e a permettere di ritrovare il tempo perduto, qui è la consapevolezza dell’importanza dei singoli istanti, dell’unicità del nostro vissuto e delle nostre esperienze personali ad essere messa in risalto, al punto che in un museo (*) trovano un posto importante oggetti apparentemente banali, come saliere, mozziconi di sigaretta o soprammobili da quattro soldi.

La riflessione di Pamuk, insomma, va al di là della storia d’amore, pur incantevole e struggente, che racconta. Ci parla di noi stessi e della nostra vita (ancora Proust diceva che ogni lettore in un romanzo legge se stesso), del passaggio storico che stiamo vivendo in questi anni, in Turchia più marcato che altrove, della difficoltà e del fascino di “essere un ponte tra due rive”.

 

(*)il museo di cui parla il libro esiste davvero, ed è stato fondato da Pamuk da Istanbul

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I detective selvaggi–R Bolaño

domenica 5 dicembre 2010 Posted by tfrab 0 comments

“I detective selvaggi” racconta la storia di due personaggi, Ulises Lima e Arturo Belano, attraverso venti anni di peregrinazioni tra America, Europa ed Africa.

La storia è narrata in maniera originale: non vediamo mai i due protagonisti in primo piano, piuttosto attraversano le storia degli altri, in modo che nei ricordi di uno studente di Tel Aviv, di un'infermiera di Barcellona o di un reporter in Angola, seguiamo le loro avventure.

Ne deriva una narrazione straordinariamente ricca, faticosa forse da seguire, almeno all'inizio, e che conferma in pieno il talento fuori dal comune di questo scrittore, morto troppo presto.

Il lettore attento troverà diversi accenni a 2666: un romanzo scritto da Arcimboldi, il mezcal "Los Suicidas", un personaggio che parla del "mondo dopo il 2600" e la parte finale ambientata nel Sonora.

Un libro che, più che ammirazione, desta rimpianto per quello che poteva essere 2666 e che invece rimarrà incompiuto.

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