Rassegnarsi a un mondo senza redenzione?
lunedì 5 settembre 2011
“Dopo Hegel […] perfino la teologia, perfino il cristianesimo saranno tentati, con un certo disincanto, a rassegnarsi ad un mondo senza redenzione. A una esistenza senza salvezza. E a considerare il nichilismo per quello che è: non tanto – o non solo – l’inconfondibile timbro che con toni, accenti e sfumature diverse assumerà, dopo Hegel, la filosofia contemporanea. Ma piuttosto il tratto distintivo della costituzione metafisica di tutte le cose. E della nostra creaturale esistenza, naturalmente. E tuttavia, nonostante questa disincantata tendenza nichilistica, la filosofia contemporanea non si rassegnerà alla terrificante idea che la morte sia l’ultima, definitiva, muta parola della/sulla vita. Poiché – come ha scritto Franz Rosenzweig – è «dalla morte (von Tode), dal timore della morte che prende inizio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto»”
(G. Cantarano – Le lacrime dei filosofi)
(certo che anche tu, di lunedì mattina...) Non so, a me risulta più convincente l'idea di chi mi spiegava che il timore (quel timore che Rosenzweig pone all'origine del filosofare), la paura, sono sentimenti secondari, intervengono cioè in seconda battuta, e come tali non sono originari. La paura è paura di perdere qualcosa che si ha, o di non poter mai ottenere quel che si desidera. Quindi all'origine non c'è la paura, ma l'attaccamento o lo stupore. In origine è lo stupore per l'essere, da qui la paura che l'essere venga meno. A ben guardare, in questo modo di vedere cambia anche l'ottica della redenzione: se c'è, deve venire come qualcosa della cui bellezza ci si stupisce, come un qualcosa in cui ci si imbatte, che si incontra.
Buona settimana :)
Grazie per la buona settimana.
Premesso che il libro lo sto sbocconcellando molto lentamente, mi sembra che Cantarano non neghi questa tua obiezione (che condivido). Però lui "gioca" sulla parola Thauma, dal Teeteto di PLatone. È meraviglia e stupore per la presenza del mondo ad animare l'indagine filosofica, ma lo stupore deriverebbe anche dalla transitorietà del mondo, dal sorprendente farsi nulla, nell'incessare processo del divenire.
Vista così l'indagine filosofica si riduce ad "un mito consolatorio e immunizzante mediante il quale cerchiamo di distogliere il nostro sguardo velato di lacrime dalla fine di tutte le cose"
E però sì, mi pare poco, anche se è una chiave di lettura stimolante.
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