L’ultimo romanzo di Orhan Pamuk parla di una storia d’amore bellissima e tragica, che nasce nella Istanbul degli anni ’70. L’inizio del libro è giocato sul contrasto tra l’ambiente di estrazione del protagonista del libro, Kemal, e della sua promessa sposa, Sibel, rispetto alla Istanbul popolare, incarnata dalla bella Füsun. La vita porterà Kemal a dover fare un scelta difficile, che passerà necessariamente attraverso il sacrificio: come avverte uno dei personaggi minori del romanzo, Çetin, richiamando la storia di Abramo durante la īd al-aḍḥā:
“[…]Se doniamo ciò che più di prezioso abbiamo a qualcuno che amiamo profondamente, senza aspettarci nulla in cambio, solo allora il mondo diventa un posto meraviglioso”
agli occhi del lettore l’epilogo degli eventi potrebbe apparire quanto mai triste, eppure Kemal, il protagonista del libro, chiede esplicitamente che il libro si chiuda con la frase:
“Tutti devono saperlo: ho avuto una vita felice”
La contraddizione è solo apparente, e risulta chiara quando si vada a considerare il tema più importante del romanzo: il Tempo. Infatti:
“[…]ricordare il tempo è fonte di dolore per la maggior parte delle persone. Sforzarsi di immaginare la linea che unisce i singoli istanti […] ci rattrista sia perché avvertiamo la sua inesorabile fine, cioè la morte, sia perché invecchiando, comprendiamo dolorosamente che la linea in se è priva di senso. I singoli istanti, invece, possono regalarci una felicità che non si esaurisce per per centinaia di anni[…]”
Insomma, la ricerca del tempo perduto è una necessità ineluttabile, di fronte alle pene d’amore, ai lutti della vita e ai cambiamenti feroci che attraversano Istanbul, che sembra perdere un po’ della sua anima con la modernizzazione, forzata dall’ingenua illusione di farsi facilmente “europei” a dispetto delle proprie radici.
Il fantasma di Proust, e della sua Recherche, aleggia per tutto il libro, e si fa più forte verso la fine, quando viene esplicitamente citato più volte. Se nella Recherche è l’opera d’arte a dare senso alla Vita, e a permettere di ritrovare il tempo perduto, qui è la consapevolezza dell’importanza dei singoli istanti, dell’unicità del nostro vissuto e delle nostre esperienze personali ad essere messa in risalto, al punto che in un museo (*) trovano un posto importante oggetti apparentemente banali, come saliere, mozziconi di sigaretta o soprammobili da quattro soldi.
La riflessione di Pamuk, insomma, va al di là della storia d’amore, pur incantevole e struggente, che racconta. Ci parla di noi stessi e della nostra vita (ancora Proust diceva che ogni lettore in un romanzo legge se stesso), del passaggio storico che stiamo vivendo in questi anni, in Turchia più marcato che altrove, della difficoltà e del fascino di “essere un ponte tra due rive”.
(*)il museo di cui parla il libro esiste davvero, ed è stato fondato da Pamuk da Istanbul