Mondo multipolare (slumdog astrophysicist strikes back)
C'è chi sulla luna ci andrà, e c'è chi rinuncia per mancanza di fondi. Si, OK, Barack, ci siete già stati, ma detta così fa molto "the fox & the grapes".
C'è chi sulla luna ci andrà, e c'è chi rinuncia per mancanza di fondi. Si, OK, Barack, ci siete già stati, ma detta così fa molto "the fox & the grapes".
La cosa più sconvolgente leggendo “Gli africani salveranno Rosarno” sono i rapporti di Medici Senza Frontiere. Non tanto per il contenuto dei documenti, che potete trovare sul loro sito. È il fatto stesso che MSF debba operare sul nostro territorio, che lascia allibiti. Notate che:
“MSF ha ripetutamente contattato le autorità nelle regioni dove ha lavorato in questi anni, incluse le autorità in Calabria, per sottolineare la grave situazione umanitaria e i bisogni dei lavoratori migranti che vivono in Italia e la necessità di prendere provvedimenti urgenti per migliorare la loro situazione.”
e il primo rapporto sulla situazione risale almeno al 2005. Dato che il mio calendario segna il 2010, che avranno fatto le varie istituzioni in questi cinque anni? Indovinato: poco o nulla, a parte installare, nel 2007, ben otto bagni chimici e sei docce, nella ex cartiera dove vivono cinquecento persone. “They only speak and do nothing”, dice uno degli intervistati, che evidentemente ha capito bene come funzioni la politica in Italia.
Ora voi penserete che io abbia letto un instant book, appena pubblicato sull’onda emotiva dei fatti di Rosarno. Invece il libro era già in commercio, parla della rivolta di fine 2008, che io non ricordavo neanche un po’, e nemmeno voi, probabilmente. Eppure sembra di leggere la cronaca di questi giorni. Antonello Mangano ripercorre puntualmente la storia recente della Calabria, con la ‘ndrangheta che detta legge, la violenza che domina tutti gli aspetti delle relazioni sociali, e i fiumi di denaro pubblico in arrivo che riempiono le tasche dei soliti noti.
In un contesto così duro arrivano gli immigrati, attratti in Italia dalla speranza di un futuro migliore, e che in alcuni casi si ritrovano quasi a rimpiangere la loro condizione di partenza, persino chi è partito dal Darfur, e credeva di essersi lasciato il peggio alle spalle. Il titolo del libro è comunque speranzoso, anche se provocatorio. Secondo Mangano:
“[…] gli immigrati salveranno Rosarno, allora. Lo salveranno se con il loro esempio riusciranno a risvegliare coscienze sopite, senso dello Stato dimenticato. Se, in una parola, saranno contagiosi. Certo è che la loro rivolta ha acceso una luce, che questo libro vuole continuare a mantenere viva”.
Chiuso il libro viene da riflettere. Certamente sulle condizioni disumane in cui vivono troppe persone sul nostro territorio. Su come in alcune zone d’Italia lo Stato abbia decisamente perso il controllo, lasciando il territorio in mano a dei veri e propri warlord. O su come la ricchezza più importante, il capitale umano, venga così stupidamente dissipata, per la manifesta incapacità politica di far funzionare le leggi in vigore.
Approssimativamente a fine anni ‘80 mi capitava di comprare Repubblica. Sostanzialmente per due motivi: lo sport (c’erano Gianni Brera e Gianni Mura, che c’è ancora, credo) e Beniamino Placido. Adoravo come sapeva scrivere di TV, e lo stile con cui lo faceva. Ho avuto modo anche di leggere il piccolo libro che pubblicò, anni fa, con il titolo “La televisione col cagnolino”.
La notizia della sua morte mi ha colpito e addolorato, non sapevo fosse malato. Ho cercato il libro, ma non riesco a trovarlo, spero sia semplicemente rimasto a casa dei miei, lasciato indietro in uno dei tanti traslochi degli anni recenti. Mi ricordo un delizioso pezzo a fine libro, dedicato ad una suorina che vendeva le fotocopie delle dispense di teologia.
Spero di ritrovarlo, per lasciare un internet un piccolo ricordo, nel frattempo me la cavo con questo link di Leonardo e quest’altro, dedicato proprio al libro in questione. Addio Beniamino, la terra ti sia lieve.
Nel luglio del 2002 una disputa di confine si accese tra Spagna e Marocco, relativa alla piccola isola di Leila (o Perejil se siete spagnoli). Una piccola bega di confine, che però poteva portare a gravi tensioni tra i due paesi. Chi ha fatto da arbitro in quell’occasione? Non le Nazioni Unite, o l’Unione Europea, e neanche una potenza regionale come la Francia, in buoni rapporti con entrambi i litiganti. Furono gli Stati Uniti a fare da paciere. Eppure non hanno interessi particolari nella zona di Gibilterra, non dispongono di influenza specifica verso nessuno dei due stati coinvolti (come la UE), e non possono dire di parlare a nome della comunità internazionale (come l’ONU). Ma, almeno all’epoca, erano la prima ed unica superpotenza mondiale, e il resto del mondo, volente o nolente, doveva ascoltare, in virtù dell’immenso potere americano. A pochi anni di distanza cosa è cambiato? Certo gli Stati Uniti sono ancora una potenza ineguagliata, ma gli scricchiolii sono evidenti. In Iraq ed Afghanistan ci sono difficoltà notevoli, in Georgia la Russia può agire indisturbata, a Copenaghen non si arriva da nessuna parte senza la Cina, Russia ed Ucraina si accordano in euro, invece che in dollari.
Tutti sintomi che sembrano dare ragione alla tesi di fondo del libro: stiamo vivendo un passaggio dal mondo unipolare degli ultimi anni ad uno sempre più multipolare, in cui gli Stati uniti conteranno meno. Non tanto per un loro declino, quanto per la crescita degli altri. Come altre volte nella storia è proprio l’impero americano ad aver favorito questa crescita.
Secondo Goldman-Sachs, entro il 2040, Cina, India, Brasile, Russia e Messico, combinate insieme, saranno economicamente più rilevanti dell’attuale G7. La crescita di queste nuove economie è avvenuta grazie alle condizioni di straordinaria pace e prosperità del mondo odierno. Sembra un’affermazione troppo ottimistica, a fronte delle tragedie che i media ci descrivono ogni giorno. Eppure i dati sono inequivocabili.
L’ascesa più impressionante, dal punto di vista economico e demografico, è naturalmente quella di India e Cina. I due paesi non si sono limitati a beneficiare della globalizzazione, ma stanno dando un contributo fondamentale al processo in atto. La loro capacità di fornire beni e servizi a costi molto bassi sta mettendo un freno formidabile all’inflazione mondiale. Si tratta, però, di due paesi radicalmente diversi, quasi all’opposto. In Cina abbiamo una transizione fortemente guidata dal centro, che sta lentamente aprendo al capitalismo ed alla libertà economica, cercando di gestire al meglio il passaggio epocale. Accanto alla crescita impressionante del paese, però, non mancano i punti interrogativi. La Cina è un immane disastro ambientale:il 26% dei corsi d’acqua è praticamente morto, una vera fogna a cielo aperto, e l’aria è inquinatissima. I problemi dello statalismo, nonostante la competenza dimostrata finora dalla classe dirigente, si fanno comunque sentire: è stata davvero una buona idea la politica demografica del figlio unico? il problema più grande è però il futuro: cosa succederà quando cominceranno ad aumentare le richieste di libertà?
Countries that marketize and modernize begin changing politically around the time that they achieve middle-income status (a rough caraterization, that lies somewhere between $ 5,000 qand $ 10,000) Since China’s income level is still below that range, it cannot be argue that the country has defeated this trend,
La classe politica cinese è in grado di fare davvero politica? Oppure è solo un mix di tecnocrati e funzionari di partito inadatti al ruolo? L’autore sembra molto scettico in proposito, a causa della selezione con cui i funzionari sono cooptati nel partito.
La vicina India ha una classe politica molto indietro rispetto alla società, straordinariamente vivace e avanzata. Il 50% dell’economia indiana è dato dai servizi, un dato introvabile in altre economie del mondo in via di sviluppo. Sono le cifre di Grecia e Portogallo, paesi UE relativamente avanzati, che di certo non ospitano centinaia di milioni di poveri sul proprio territorio. Il merito è, secondo Zakaria, dell’eredità post-coloniale inglese, che ha lasciato un’organizzazione comunque efficiente, e soprattutto la lingua inglese, chiave d’ingresso dell’India nella modernità. La situazione indiana è probabilmente quella più simile agli USA, e i rapporti tra i due stati sono molto stretti, grazie anche all’emigrazione indiana. Finora l’India è cresciuta nonostante la sua classe politica: quanto durerà ancora? Riuscirà la traballante politica indiana a tenere insieme uno stato così eterogeneo, che conta 17 lingue e 22,000 dialetti? È in grado questa classe politica di definire l’interesse nazionale di un coacervo così vasto di popoli e difenderlo adeguatamente? Di sicuro, almeno nel medio.breve periodo, l’India non riuscirà a pareggiare il peso della Cina, e sarà più una potenza regionale che mondiale. Anche qua il paragone corre agli USA, in particolare al periodo precedente le due guerre mondiali.
L’ingresso sulla scena internazionale di due pesi massimi del genere è destinato a pesare moltissimo.
“[…]throughout history, great powers have seen themselves as having the best intentions but being forced to act to protect their ever-expanding interests. And as the world’s number two country, China will expand its interests substantially […] That is the central challenge of the rise of the rest – to stop the forces of global growth from turning into the forces of global disorder and disintegration.”
Una sfida difficile, complicata dal Clash of Civilization, ben descritto da Huntington anni fa. Lo stato nazione è un’invenzione recente. Religioni, etnie, e gruppi linguistici sono molto più vecchi, e la globalizzazione, lungi dall’indebolirli, sembra averli rafforzati.
In un mondo che sta cambiando in questo modo l’occidente non deve rassegnarsi alla marginalizzazione, ma trovare strategie nuove per risolvere i problemi, e mantenere una posizione di primo piano nel nuovo panorama. Difficilmente sarà la nascente Unione Europea ad infilarsi nelle brecce lasciate aperte dal declino americano. Nel breve periodo, infatti, l’Europa potrebbe rivaleggiare con gli USA, ma ha un handicap quasi insuperabile: la demografia. L’unico argine al progressivo invecchiamento sembrerebbe l’immigrazione, che però riesce a malapena a non far calare la popolazione, e il maggior sertbatoio di immigrati, il medio oriente, si sta dimostrando difficilissimo da integrare.
Per gli USA invece, che non hanno questo problema, Zakaria propone delle idee interessanti. Imporre la soluzione con la forza non risolve nulla: ci vuole più multilateralismo, la sensazione che le azioni, in qualche modo, siano condivise dal resto della comunità internazionale. Il confronto tra le due guerre del Golfo rivela i grandi errori di politica estera degli ultimi anni. Da notare che Zakaria non identifica la legittimità internazionale con l’ONU (per lui anche l’intervento in Kosovo era pienamente legittimato). L’idea è quella di un internazionalismo a la carte, in cui le varie organizzazioni, o anche alleanze ad hoc, vengono usate di volta in volta per risolvere le crisi che si presentano. È importante che l’America riesca a sfruttare l’enorme soft power di cui dispone, che non si chiuda al mondo, perché l’immigrazione e l’apertura verso gli altri sono la vera forza storica degli Stati Uniti, e che continui ad investire sull’istruzione d’elite, la ricerca e sviluppo, conservando il ruolo di maggior innovatore tecnologico globale.
Se queste premesse saranno rispettate allora l’America avrà la forza di diventa una specie di “hub” della politica mondiale, prendendo a modello l’azione politica di Bismarck nell’Europa del XIX secolo. Gli Stati Uniti devono diventare, per ogni nazione, un partner più affidabile di qualsiasi altra nazione. In questo modo il paese, rimane il centro della politica mondiale, sia pure in stretta collaborazione con le potenze emergenti. A dimostrazione che la politica americana è rimasta indietro rispetto alla società l’autore fa l’esempio delle multinazionali USA, in grado di formare alleanze locali,e di rimanere così dominanti a livello globale.
Come europeo ed occidentale spero che Zakaria abbia ragione, e che in qualche modo il nostro modello rimanga quello di riferimento per molti anni a venire. Pur con tutti i suoi difetti e le sue contraddizioni c’è ancora un sogno americano, ed è quello cui, in qualche modo, molte persone al mondo aspirano.