La scienza negata, di Enrico Bellone, è un saggio che cerca di approfondire le origini dello storico ritardo, nell’ambito scientifico e tecnologico, del nostro paese, che pure vanta una tradizione di prim’ordine. Alcuni dei dati del disastro sono ormai molto noti: dalla spesa per ricerca e sviluppo particolarmente bassa, al numero esiguo di laureati e ricercatori, fino all’analfabetismo ormai esteso ad una larga fetta di popolazione.
Nella prima parte l’attenzione di Bellone si concentra soprattutto sulle cause politiche di questa situazione. L’inizio è datato 5 giugno 1894, quando l’allora Ministro dell’Istruzione, Guido Baccelli, sostenne la necessità di tagliare i fondi alle università per stimolare la ricerca, secondo il detto latino vexatio dat intellectum. Da lì è stato un susseguirsi di scelte miopi e sciagurate, concluse con la lottizzazione degli apparati di ricerca pubblica negli anni sessanta (e la conseguente assenza di meritocrazia, ndFAU). Da notare, secondo me, le parole di Giovanni Gentile, che nel 1923 sollecitava impulsi alla cosiddetta ricerca applicata: molto tempo dopo, in piena riforma Moratti, ancora si discettava di ricerca applicata e di base, segno che ottant’anni erano passati invano.
Nella seconda parte del libro l’autore prova a ripercorrere le basi del pensiero anti-scientifico che sembra costituire una forza importante nella società italiana. Il punto di partenza è l’Università di Gottinga, sede di dissapori tra il filosofo Husserl e alcuni scienziati, tra cui spiccava Max Born, che rinunciò, deluso, a seguire le lezioni dell’illustre filosofo. Secondo il futuro premio Nobel:
“Se la scienza significa qualche cosa non può certo servirsi della filosofia di Husserl”. Quest’ultima pretende, secondo Born, di giungere a una dimostrazione conclusiva sulla natura stessa della matematica, e di giungervi per mezzo “dell’introspezione, della contemplazione e dell’analisi verbale”. Il che costituisce “un atteggiamento inconciliabile con la scienza”:”Infatti chi ha raggiunto una simile dimostrazione diventa facilmente un fanatico, un credente mistico, non più avvicinabile con il ragionamento o la discussione”
Il resto dei capitoli scorre via, tra clamorosi equivoci sulla relatività ad opera di illustri sociologi e i soliti o tempora, o mores riservati alla tecnologia e alla scienza che disumanizzano.
Bellone, però, è ben consapevole di come una corrente di pensiero antiscientifica non basti a spiegare l’anomalia italiana:
Anche a Chartres o a Parigisi ebbe notizia di Chernobyl, ma i governi francesi non hanno smantellato le loro centrali elettronucleari. E in altre nazioni a noi vicine, come la Germania o l’Inghilterra, i proclami di un Adorno o di un Polkinghorne non sono certamente in grado di estinguere gli studi sulle cellule staminali.
Che cosa è andato storto allora in Italia? Probabilmente un fenomeno nato tra gli anni sessanta e settanta, che ha coinvolto intellettuali e politici in una “affrettata rimasticatura dei temi dell’antiscientismo” dell’inizio del novecento. Insomma, il grido “il ’68 ci ha strasfracellato i coglioni.” lanciato da Leonardo tempo fa è più che mai attuale. Stante l’impossibilità di schiodare questa generazione dalle poltrone per ancora molto tempo, possiamo solo sperare che la corsa verso il sottosviluppo non vada troppo veloce.