Tragico greco e tragico cristiano
domenica 8 aprile 2012
Il tragico greco prospetta il nesso di colpa e destino come qualcosa di necessario, di fatale. Potremmo dire, la colpa è il destino di tutti, il destino di tutti è di espiare con la morte la colpa di essere nati. Da questo punto di vista il soggetto resta all'interno di un orizzonte in cui il finito viene (con la morte) semplicemente annullato nell'infinito. Nel tragico greco la misura è tutto. Nessuna finitezza della redenzione, del male, della morte. Invece il tragico cristiano è basato sulla dismisura: quella che c'è non solo fra finito ed infinito, ma fra colpa e redenzione. Redimere la colpa non significa semplicemente rimettere le cose a posto, ripristinare l'ordine perturbato, chiudere il cerchio. Al contrario, si tratta di un atto di libertà: sia da parte di Dio, sia da parte dell'uomo. In realtà c'è asimmetria tra il gesto compiuto da Dio e il gesto compiuto dall'uomo - altrimenti Dio sarebbe, come in Grecia, la necessità dell'essere e non, come nel cristianesimo, la libertà dell'essere, e anzi dall'essere. Eppure c'è anche simmetria, c'è corrispondenza tra uomo e Dio. La più alta tragedia su cui Kierkegaard invita a riflettere è non solo quella di Dio che si fa uomo, assumendone il destino di morte e prendendo su di sé tutto il male del mondo fino a espiare il debito che l'umano ha con il divino, ma anche quella dell'uomo che si fa Dio, e da creatura assoggettata al destino qual'è, diventa a suo modo creatore, almeno nel senso che per lui il destino cessa di essere un gravame, una soma da portare e di cui liberarsi morendo, ma diventa, benché imposto da un decreto misterioso ex alto, la cosa più propria, quella di cui bisogna farsi carico totalmente, quella su cui si basa il principio di responsabilità.
Se nel mondo greco la colpa è il destino, con il cristianesimo la colpa diventa la responsabilità per il destino. [...] Destino è nient'altro che il mondo. E responsabile del mondo è l'uomo, ogni singolo uomo. Perciò il cristianesimo osa affermare che a ciascuno sarà chiesto di render conto delle proprie azioni: addirittura in una luce d'eternità, dove il finito sta realmente di fronte all'infinito, come si intravede in quella figura d'una espiazione senza fine che è la possibilità dell'inferno. Qui il tragico cristiano dice la sua parola più dura. E da nessuna parte come qui la follia cristiana umilia la sapienza greca. L'impensabile si è fatto pensabile.
(S Givone - Filosofia ed esperienza religiosa - Il cortile dei gentili)
Interessante citazione. Mi viene da aggiungere: la dismisura che conferisce misura.
Buona Pasqua
"la dismisura che conferisce misura" è una bella chiosa. singolare come la verità, certe volte, si possa esprimere solo con affermazioni, apperentemente, paradossali. Buona Pasqua anche a te
Posta un commento