Scherzi da prete

sabato 28 aprile 2012 Posted by tfrab 0 comments
Storia del Partito del progresso moderato nei limiti della legge, di Jaroslav Hasek
"«Amici, ve lo posso dire in tutta confidenza, Pelant puzzava terribilmente».
        «Ah», esclamammo tutti. «Così allora era vero quello che ha scritto «Il Ceco», che Pelant nella chiesa della Santa Madre di Dio a Týn ha buttato in terra delle palline puzzolenti». Dello stesso parere era anche la polizia. E chi ancora aveva veduto Pelant passeggiare per Piazza della Città Vecchia all'ora in cui la chiesa è più affollata per la benedizione? L'investigatore Špaček. Spinto dall'istinto, dal semplice istinto di abile investigatore, aveva seguito Pelant, aveva risucchiato un po' d'aria nelle narici e aveva notato che Pelant mandava cattivo odore. Si fece ancora più vicino a Pelant, e per convincersi meglio da che tasca venisse quel puzzo estrasse una sigaretta, la portò alle labbra, fermò Pelant e disse: «Scusate, signore, non avete per caso dei fiammiferi?».
        «Mi dispiace», disse Pelant, «io non fumo».
        «Così», disse l'investigatore, «voi dunque non fumate. Bene. Allora io vi arresto in nome della legge. Venite con me».
        «Ma permettete, permettete», gridava Pelant, «questo è possibile solo in Austria! Arrestare qualcuno perché non fuma! Questo documenta meravigliosamente il burocratismo del governo. Vengo con voi, non temete!».
        «Ma io non vi arresto mica perché non fumate, ma perché puzzate, Pelant».
        «Ma permettete, cittadino», esclamò Pelant indignato, «arrestare qualcuno perché puzza? Ma io non puzzo! Se fossi arrestato perché non fumo, non mi meraviglierei poi tanto, perché si direbbe: è cittadino austriaco e non sostiene lo stato. Ma se puzzo?».
        «C'è puzzo e puzzo. Voi puzzate in modo pericoloso».
        «Be', qui divento pazzo», esclamò Pelant. «Che si possa puzzare in modo pericoloso, non l'ho ancora visto».
        «Ma io lo sento», fece l'investigatore.
        Così conversando, giunsero alla direzione di polizia, dove al quarto dipartimento gli fecero l'interrogatorio. Prima di tutto fu annusato. Un funzionario anziano di polizia annusò Pelant dal basso in alto, da davanti e da dietro, e disse con aria competente: «Solfuro di carbone puro».
        «Adesso vi perquisiremo le tasche».
        E l'investigatore Špaček introdusse la mano nell'ampia tasca del cappotto di Pelant e ne ritirò un pacchettino allungato, accuratamente incartato in fogli dell'ultimo numero del «Libero pensiero».
        «Eh, vedete», disse il commissario, «che abbiamo finito per trovarvele. Be', è vero che non avete negato».
        E mentre diceva così, davanti all'intero corpo di polizia si srotolò dalla carta una fila di caciottine di Olomouc, morbide, azzurrine, ben stagionate, che il distratto Pelant portava in tasca già da due giorni.
        «Le mie caciottine!» esclamò gioiosamente Pelant.
        Così gliele incartarono di nuovo e lo rimandarono a casa con un energico invito a lasciar perdere un'altra volta questi scherzi da prete."
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Tragico greco e tragico cristiano

domenica 8 aprile 2012 Posted by tfrab 2 comments
Il tragico greco prospetta il nesso di colpa e destino come qualcosa di necessario, di fatale. Potremmo dire, la colpa è il destino di tutti, il destino di tutti è di espiare con la morte la colpa di essere nati. Da questo punto di vista il soggetto resta all'interno di un orizzonte in cui il finito viene (con la morte) semplicemente annullato nell'infinito. Nel tragico greco la misura è tutto. Nessuna finitezza della redenzione, del male, della morte. Invece il tragico cristiano è basato sulla dismisura: quella che c'è non solo fra finito ed infinito, ma fra colpa e redenzione. Redimere la colpa non significa semplicemente rimettere le cose a posto, ripristinare l'ordine perturbato, chiudere il cerchio. Al contrario, si tratta di un atto di libertà: sia da parte di Dio, sia da parte dell'uomo. In realtà c'è asimmetria tra il gesto compiuto da Dio e il gesto compiuto dall'uomo - altrimenti Dio sarebbe, come in Grecia, la necessità dell'essere e non, come nel cristianesimo, la libertà dell'essere, e anzi dall'essere. Eppure c'è anche simmetria, c'è corrispondenza tra uomo e Dio. La più alta tragedia su cui Kierkegaard invita a riflettere è non solo quella di Dio che si fa uomo, assumendone il destino di morte e prendendo su di sé tutto il male del mondo fino a espiare il debito che l'umano ha con il divino, ma anche quella dell'uomo che si fa Dio, e da creatura assoggettata al destino qual'è, diventa a suo modo creatore, almeno nel senso che per lui il destino cessa di essere un gravame, una soma da portare e di cui liberarsi morendo, ma diventa, benché imposto da un decreto misterioso ex alto, la cosa più propria, quella di cui bisogna farsi carico totalmente, quella su cui si basa il principio di responsabilità.

Se nel mondo greco la colpa è il destino, con il cristianesimo la colpa diventa la responsabilità per il destino. [...] Destino è nient'altro che il mondo. E responsabile del mondo è l'uomo, ogni singolo uomo. Perciò il cristianesimo osa affermare che a ciascuno sarà chiesto di render conto delle proprie azioni: addirittura in una luce d'eternità, dove il finito sta realmente di fronte all'infinito, come si intravede in quella figura d'una espiazione senza fine che è la possibilità dell'inferno. Qui il tragico cristiano dice la sua parola più dura. E da nessuna parte come qui la follia cristiana umilia la sapienza greca. L'impensabile si è fatto pensabile.

(S Givone - Filosofia ed esperienza religiosa - Il cortile dei gentili)