Bolaño e la fine del sacro

domenica 29 agosto 2010 Posted by tfrab 1 comments

“Le uniche sale cinematografiche che svolgevano una funzione, disse Charly Cruz, erano quelle vecchie, te le ricordi? Quei teatri enormi che quando spegnevano le luci ti davano una stretta al cuore. Quelle sale erano perfette, erano i veri cinema, i più simili a una chiesa, soffitti altissimi, grandi tende rosso granato, colonne, corridoi con vecchi tappeti logori, palchi, posti in platea o in galleria o in piccionaia, edifici eretti negli anni in cui il cinema era ancora un’esperienza religiosa, quotidiana ma religiosa, e cha a poco a poco sono stati demoliti per costruire banche o supermercati o multisale. Oggi, disse Charly Cruz, ne sopravvivono pochissimi, oggi tutti i cinema sono multisale, con schermi piccoli, spazi ridotti, poltrone comodissime. In una vecchia sala di quelle vere entrano sette sale ridotte di oggi. O dieci. O quindici, dipende. E non c’è più l’esperienza abissale, non esiste la vertigine prima dell’inizio di un film, nessuno si sente più solo dentro un multisala. Poi, da quanto ricordava Fate, si era messo a parlare della fine del sacro.

La fine era iniziata da qualche parte, a Charly Cruz non importava dove, forse nelle chiese, quando i preti avevano smesso di dire la messa in latino, o nelle famiglie, quando i padri avevano abbandonato (terrorizzati, credimi, brother) le madri. Ben presto la fine del sacro era arrivata al cinema. Avevano smantellato i grandi cinema e costruito scatole immonde chiamate multisale, cinema pratici, cinema funzionali. Le cattedrali erano crollate sotto la palla d’acciaio delle squadre di demolizione. Finché qualcuno non aveva inventato le videocassette. Un televisore non è la stessa cosa di uno schermo cinematografico. Il salotto di casa tua non è la stessa cosa di una vecchia platea quasi infinita. Ma se uno osserva con cura, è la cosa che più gli somiglia. Innanzitutto perché grazie alla videocassetta puoi vedere da solo un film. Chiudi le finestre di casa tua e accendi la televisione. Metti la cassetta e ti siedi in una poltrona.

Primo requisito: essere solo. La casa può essere grande o piccola, ma se non c’è nessun altro ogni casa, per piccola che sia, in qualche modo si amplia. Secondo requisito: preparare il momento, cioè noleggiare il film, comprare le bibite che berrai, gli stuzzichini che mangerai, decidere l’ora in cui ti siederai davanti alla tua televisione. Terzo requisito: non rispondere al telefono, ignorare il campanello della porta, essere prono a passare un’ora e mezzo o due ore, un’ora e quarantacinque minuti nella più completa e assoluta solitudine. Quarto requisito: tenere a portata di mano il telecomando, se per caso vuoi rivedere una scena più di una volta. Tutto qui. Da quel momento in poi tutto dipende dal film e da te. Se tutto va bene, e non sempre va bene, sei di nuovo in presenza del sacro.”

 

Che grande scrittore Bolaño. Benedette queste ferie che mi hanno lasciato un po’ di tempo per 2666. Ispanofoni e lettori particolarmente arditi possono cimentarsi con l’originale del pezzo a questo indirizzo.

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La prima pila atomica

sabato 21 agosto 2010 Posted by tfrab 2 comments

Clamoroso scoop del TGcom, che rivela come la prima pila atomica fosse, in realtà, opera dei nazisti:

 

70 anni fa

Dato che siamo nel 2010, se l’impianto è del 1940 sono ben due anni prima che il nostro Enrico Fermi accendesse, in quel di Chicago, il suo reattore nucleare.

Naturalmente sto scherzando, è una cantonata presa da chi ha scritto l’articolo. Cercando un po’ con Google News la notizia, col solito copia e incolla, si è diffusa su diversi siti, venendo ripresa anche da SKY TG. Non commento oltre, fa troppo caldo per gli insulti :-)

Non si può scegliere ciò di cui si è fatti

sabato 24 luglio 2010 Posted by tfrab 0 comments

“Non si può scegliere ciò di cui si è fatti, siamo sputo e polvere spinti dai venti di un'altra generazione, ma la cosa peggiore è svegliarsi un mattino e scoprire che le nostre ossa sono inevitabilmente impregnate di quella stessa caducità che sarebbe dovuta morire con i nostri antenati, stesse speranze e delusioni e amori e debolezze, scoprire che siamo e saremo in eterno prigionieri delle loro brame contorte e dei loro ideali.”

(Vikram Chandra - Terra rossa e pioggia scrosciante)

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The Long Summer B Fagan

giovedì 3 giugno 2010 Posted by tfrab 0 comments

long summerSe “Armi, Acciaio e Malattie” di Jared Diamond era un tentativo, riuscito, di spiegare l’influenza fondamentale della geografia sulla storia umana, The Long Summer di Brian Fagan segue un percorso analogo, in una sorta di sequel che si concentra sugli aspetti climatici.

Secondo l’autore il clima è una causa tanto importante quanto trascurata di molti rivolgimenti storici. È sulla spinta dei cambiamenti climatici che gli uomini hanno traversato, nel corso dei millenni, l’Europa e le steppe della Siberia, per poi arrivare in America. Il clima ha spinto l’umanità a modificare il proprio stile di vita, spingendola verso l’agricoltura e l’abbandono della condizione di cacciatori-raccoglitori. Al tempo stesso i cambiamenti climatici hanno determinato, attraverso inondazioni e siccità, il crollo di regni ed imperi: dagli Ittiti ai Maya, dall’Egitto all’antica Roma, intere civiltà sono state messe in ginocchio dalle bizze del clima.

Il libro non si limita a guardare indietro, però. In tempi di riscaldamento globale e cambiamenti seguenti, l’autore è molto scettico sulla capacità di adattarsi della nostra civiltà:

“Climate has helped civilization, but not by being benign. The unpredictable whims of the Holocene stressed human societies and forced them to either adapt or perish[…]The collapse often came as a complete surprise to rulers and elites who believed in royal infallibility and espoused rigid ideologies of power.

There is no reason to assume that we’ve somehow escaped this shaping process. Agriculture is less visible to us now – the number of people growing food has shrunk from 90 percent of labour force in Europe five hundred years ago to less than 3 percent in the US today – but we still need to eat. And now our vulnerability extends far beyond just growing food: our crowded coastlines with densely packed high-rises and apartment of finance and scholarship and entertainment, are beholden to the world’s climate in ways both obvious and hidden. Like many civilizations before us, we’ve simply traded up in scale, accepting vulnerability to the big, rare disaster in exchange for a better ability to handle the smaller, more common stresses, such as short term droughts and exceptionally rainy years.

But if we’ve become a supertanker among human societies, it’s an oddly inattentive one. Only a tiny fraction of the people on board are engaged with tending the engines. The rest are buying and selling goods among themselves, entertaining each other or studying the sky or the hydrodynamics of the hull. Those on the bridge have no charts or weather forecast and cannot even agree that they are needed; indeed, the most powerful among them subscribe to a theory that says storms don’t exist, or if they do, their effects are entirely benign, and the steepening swells and fleeing albatrosses can only be taken as a sign of divine favor. Few of those in command believe the gathering clouds have any relation to their fate or are concerned that there are lifeboats for only one in ten passengers. And no one dares to whisper in the helmsman’s ear that he might consider turning the wheel.”

Troppo pessimista? Leggete il parere del buon Brian su New Orleans:

“The battle to control the river never ceases, for a breach upstream is always possible and the awesome power of of the flooding water can break out anywhere. For the moment, the Corps believes the river is contained. But given the right combination of heavy snow and much higher than average rainfall, there is a real chance that the Mississipi will follow its own will and shift course to the Atchafalaya, as it obviously wants to do[…]Today the fate of a city of a million people and many billions of dollars of infrastructure depends on our control of half a continent’s worth of increasingly restless river water. New Orleans is safe against the flood that comes once every hundred years. As for the thousand-year flood or the ten thousand-year flood or the ten-thousand-year one, we can only hope for the best”

Il libro è uscito a fine 2004, Katrina arriverà pochi mesi dopo: e se per una volta ascoltassimo Cassandra?

Il buono dell’economia – L Zingales G Salvini

domenica 16 maggio 2010 Posted by tfrab 2 comments

zingsalv Etica e Mercato, di solito, sono una coppia che fatica ad andare d'accordo. Aggiungeteci un certo uso strumentale dell'etica applicata all'economia, e pensare di pubblicare qualcosa di sensato può sembrare velleitario. Eppure Luigi Einaudi scriveva:

"Tutti coloro che vanno alla fiera (quella di campagna, un'immagine che Einaudi utilizza per spiegare cos'è il mercato) sanno che questa non potrebbe aver luogo se, oltre ai banchi dei venditori i quali vantano la bontà della loro merce, ed oltre alla folla dei compratori che ammira la bella voce, ma prima vuole prendere in mano le scarpe per vedere se sono di cuoio o di cartone, non ci fosse qualcos'altro: il cappello a due punte della coppia di carabinieri che si vede passare sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere due che si sono presi a male parole, il palazzo del municipio, con il segretario ed il sindaco, la pretura e la conciliatura, il notaio che redige i contratti, l'avvocato cui si ricorre quando si crede di essere a torto imbrogliati in un contratto, il parroco, il quale ricorda i doveri del buon cristiano, doveri che non bisogna mai dimenticare nemmeno alla fiera". Insomma regole, principi e istituzioni.

Le premesse per parlare con cognizione di causa di etica e mercato, quindi, ci sono. Giampaolo Salvini è un bell'esponente di quella Chiesa capace di confrontarsi con la modernità e la secolarizzazione sforzandosi di capire il mondo che la circonda senza perdere la dimensione profetica propria del Cristianesimo. Luigi Zingales è un economista liberale capace, per quanto emerge dal dialogo, di un pensiero originale ed interessante. L'unico difetto del libro è una certa tendenza a vagare qua e là, senza arrivare ad una vera sintesi. Eppure qualche riflessione interessante si coglie, e ripaga l'investimento, non elevatissimo, in tempo e soldi. Visto quanto successo di recente qui in Europa mi sento di sottoscrivere questo:

"L'etica, dunque, va praticata più che predicata.E non possiamo illuderci che basti richiamarsi ad essa per uscire più forti dalla crisi. Anzi, forse, stiamo correndo il rischio opposto: come ha osservato il direttore editoriale dell'Institute of Economic Affairs, Philip Booth, «non è facile distinguere un comportamento etico da uno non etico quando i governi distorcono il funzionamento dei mercati» (per esempio, applicando la regola del too big to fail, o creando «incentivi alle banche per comportarsi incautamente»). «Il comportamento etico - insiste Booth - può promuovere, anzi promuoverà, mercati più stabili ed efficaci. Il problema è che quando i governi interferiscono, e nella misura in cui l'hanno fatto finora, non possiamo sapere quale comportamento crei ricchezza e quale comportamento alimenti il boom»”

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C’è grossa crisi

lunedì 10 maggio 2010 Posted by tfrab 0 comments

toomuchdebt

L’idea di fare ulteriore debito per sanare quello accumulato è probabilmente poco sensata. Lo spiegano benissimo Mario Seminerio, Michele Boldrin e Antonio Martino, che giustamente fa notare:

“Einaudi era consapevole che la causa fondamentale dell’instabilità monetaria risiede nella “monetizzazione del debito”, nella possibilità cioè degli Stati di finanziare le proprie spese con l’inflazione, e vedeva nell’Europa monetaria la soluzione del grave problema. Se la politica monetaria è affidata a una banca centrale autonoma, i singoli Stati non potranno più finanziare le loro spese creando quattrini, cioè inflazionando la propria moneta. Era questa l’ispirazione anche dei fautori delle regole del Trattato di Maastricht: la Bce in base ad esse non può “venire in soccorso” di uno Stato in gravi difficoltà finanziarie acquistandone quei titoli di debito che non riesce a collocare sul mercato. La decisione dell’Ecofin di creare un ”fondo anticrisi” […] autorizza di fatto la monetizzazione del debito a livello europeo, annullando il pilastro sul quale si sarebbe dovuta basare la stabilità dell’euro e rendendo possibile a livello europeo quell’inflazione che ha caratterizzato in varia misura la sovranità monetaria nazionale.”

Ora signori, se proprio si deve monetizzare, credo vada presa nella giusta considerazione questa proposta assolutamente geniale, anzi facciamo LibertyFirst ministro dell’Economia, comunque vada non sarà peggio di Tremonti :-D

If you want to succeed, double your failure rate

sabato 1 maggio 2010 Posted by tfrab 0 comments

"The cord that tethers ability to success is both loose and elastic. It is easy to see fine qualities in successful books or to see unpublished manuscripts, inexpensive vodkas, or people struggling in any field as somehow lacking. It is easy to believe that ideas that worked were good ideas, that ideas and plans that did not were ill conceived. And it is easy to make heroes out of the most successful and to glance with disdain at the least. But ability does not guarantee achievement, nor is achievement proportional to ability. And so it is important to always keep in mind the other term of the equation - the role of chance"

 

(Leonard Mlodinow- The Drunkard’s Walk)

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