Mark Maslin – Riscaldamento Globale
Ci sono molti casi in cui questioni prettamente scientifiche diventano oggetto di dibattito pubblico. Un esempio famoso è la teoria dell’evoluzione di Darwin, oppure le polemiche infinite relative ai rifiuti e al modo migliore di gestirli. Il riscaldamento globale entra a pieno titolo in questa categoria. Il pubblico è ferocemente diviso in catastrofisti e negazionisti: si ha quasi l’impressione che la separazione rispecchi soprattutto le convinzioni politiche più che una serena valutazione della realtà.
Il fatto è che la scienza parla un linguaggio complesso, e i tentativi di semplificazione portano spesso a errori e fraintendimenti, più o meno in buona fede. Lungi dal pensare che la risposta definitiva venga dalla Scienza, piuttosto che dall’interazione di quest’ultima con il resto del mondo, è innegabile la necessità di una buona divulgazione per far sì che il dibattito pubblico abbia un qualche senso. Mi pare, quindi, che il libro di Mark Maslin, Riscaldamento Globale, centri l’obiettivo.
L’autore, ricercatore presso lo UCL, espone lungo i dieci capitoli del saggio la ricerca scientifica che ha portato, nel XX secolo, a scoprire il global warming, l’evolversi della comprensione dei cambiamenti climatici e le possibili soluzioni al problema. Il saggio è abbastanza onesto nel presentare le posizioni dei negazionisti, spiegando come e quando alcune obiezioni sono state superate dalla ricerca e da una migliore comprensione del fenomeno. Ad esempio le misurazioni sono state corrette per tener presente l’effetto delle isole di calore, degli errori dei satelliti, dei cambiamenti nei sistemi di misura avvenuti nel corso degli anni. Altrettanto onestamente sono presentate le obiezioni più forti, relative a una scarsa comprensione degli effetti della circolazione termoalina, e alla persistente difficoltà dei modelli climatici nel prevedere i cambiamenti meteorologici improvvisi. Mi pare fondamentale rilevare come la controversia scientifica non invalidi la problematica del global warming, semmai serva a progredire, a migliorare la conoscenza del mondo attraverso quel processo iterativo tipico della Scienza.
Alla fine del libro si passano in rassegna le possibili soluzioni. Il protocollo di Kyoto non risolverà il problema, perché le emissioni andrebbero ridotte del 60-80% per avere un impatto rilevante, ma questo non significa che sia tutto da buttare, se si riuscirà a promuovere una svolta nell’efficienza energetica e nella diversificazione della produzione di energia. Ancor più degno di nota il capitolo riguardante l’adattamento. L’umanità ha ampiamente dimostrato di essere in grado di sopravvivere nelle condizioni più disparate, purché i cambiamenti in atto siano compresi e affrontati con lungimiranza. Non si può non notare, allora, come la vera sfida per il futuro non sia tanto ridurre le emissioni, quanto investire nelle economie più depresse affinché abbiano le risorse per cavarsela da sole. Riprendendo alcune considerazioni verso la fine del libro:
La seconda considerazione che affiora nell'esaminare il costo delle limitazioni da porre al riscaldamento globale riguarda un dilemma morale: questo denaro non potrebbe forse essere speso in altri modi per lenire le sofferenze umane? Ad esempio, l'attuale Protocollo di Kyoto, se attuato, costerebbe come minimo 50 miliardi di dollari all'anno, mentre l'UNICEF stima che basterebbero 70-80 miliardi all'anno per poter dare agli abitanti del Terzo mondo accesso a beni basilari come la salute, l'istruzione, l'acqua e i presidi igienici. Il riscaldamento globale ci pone perciò anche delle grandi questioni morali. Bjørn Lomborg suggerisce che questa connessione tra le risorse impiegate per il riscaldamento globale e gli aiuti al Terzo mondo vada molto più in profondità, poiché sarà proprio il mondo in via di sviluppo a soffrire maggiormente per gli effetti del riscaldamento globale essendo il meno capace ad adattarsi. Se mitighiamo il riscaldamento globale, di fatto aiutiamo le generazioni future del Terzo mondo. Ma se spendiamo la stessa cifra direttamente in aiuti per lo sviluppo aiutiamo gli abitanti attuali di quei paesi, e quindi i loro discendenti. Dato che, come abbiamo visto, nel 2050 il cittadino mondiale medio sarà due volte più ricco di oggi, abbiamo di fronte a noi un vero e proprio dilemma morale: aiutiamo quelli che tra cento anni saranno abitanti più agiati del mondo in via di sviluppo o aiutiamo quelli, più poveri, di oggi? Su tutto ciò pende un'ulteriore incognita: se adesso agevoliamo lo sviluppo rapido del Terzo mondo, non rischiamo di accelerare il riscaldamento globale in modo significativo e di aumentare i costi sulla lunga distanza?
Alla ricerca del tempo perduto - M.Proust
[...]quando erano lungamente contemplati da quell'umile passante, da quel fanciullo sognante - come un re da un memorialista confuso tra la folla -, mai quell'angolo di natura, quel lembo di giardino avrebbero pensato che proprio grazie a lui sarebbero stati chiamati a sopravvivere nelle loro particolarità più effimere; eppure, quel profumo di biancospino che imperversa lungo la siepe dove presto lo sostituiranno le rose di macchia, un rumore di passi senza eco sulla ghiaia d'un viale, la bolla che l'acqua del fiume ha formato contro una pianta acquatica e che subito scoppia, la mia esaltazione li ha presi su di sé ed è riuscita a trasportarli attraverso il succedersi di tanti anni, mentre tutt'intorno le strade sono state cancellate e sono morti quelli che le percorsero e anche il loro ricordo è morto.
Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.
[...]Il Duca di Guermantes[...]non era poi riuscito ad avanzare che tremando come una foglia sulla poco praticabile cima dei suoi ottantatré anni, come se gli uomini fossero appollaiati su viventi trampoli che aumentano senza sosta sino a diventare, a volte, più alti di campanili, sino a rendere difficili e perigliosi i loro passi, e da cui improvvisamente precipitano.[...]Mi spaventava che i miei fossero già così alti, sotto i miei passi, mi sembrava che non avrei avuto ancora a lungo la forza di tenere attaccato a me quel passato che scendeva già a tale lontananza. Se mi fosse stata lasciata, quella forza, per il tempo sufficiente a compiere la mia opera, non avrei dunque mancato di descrivervi innanzitutto gli uomini, a costo di farli sembrare mostruosi, come esseri che occupano un posto così considerevole accanto a quello così angusto che è riservato loro nello spazio, un posto, al contrario prolungato a dismisura poiché toccano simultaneamente, come giganti immersi negli anni, periodi vissuti da loro a tanta distanza e fra cui tanti giorni si sono depositati – nel Tempo.