Il grande Milo Temesvar

giovedì 30 dicembre 2010 Posted by tfrab 0 comments
“Alla fiera del libro di Francoforte alcune personalità del mondo dell’editoria si ritrovano un giorno a pranzo. C’erano Gaston Gallimard, Paul Flamand, Ledig-Rowohlt e Valentino Bompiani. Vale a dire lo stato maggiore dell’editoria europea. Commentano questa nuova follia che si è impossessata dell’editoria, che consiste nel dare anticipi sempre più alti ad autori giovani che non hanno ancora dato prova di sé. A uno di loro viene in mente di inventare un autore. Il suo nome sarà Milo Temesvar, autore del già noto Let Me Say Now, per cui l’American Library ha già offerto quella mattina cinquantamila dollari. Decidono quindi di far circolare questa voce e di stare a vedere cosa sarebbe successo.
Bompiani torna al suo stand e racconta la storia a me e a un mio collega (all’epoca, lavoravamo per lui). L’idea ci seduce e iniziamo a passeggiare per gli stand della fiera parlando qua e là con fare misterioso di questo Temesvar che presto sarebbe diventato famoso. La sera, durante una cena, Giangiacomo Feltrinelli viene verso di noi, tutto eccitato e ci dice: “Non state a perder tempo. Ho già comprato io i diritti mondiali di Let Me Say Now!” Da allora, Milo Temesvar è diventato per me molto importante. In seguito ho scritto una recensione a un libro di Temesvar, The Patmos Sellers, che appariva come una parodia di tutti i venditori di apocalissi. Presentavo Milo Temesvar come un albanese che era stato cacciato dal suo paese per deviazionismo di sinistra! Aveva scritto un libro ispirato a Borges sull’uso degli specchi nel gioco degli scacchi. Per la sua opera sulle apocalissi, avevo anche proposto il nome di un editore che era molto chiaramente inventato. Ho saputo che Arnoldo Mondadori, all’epoca il più grande editore italiano, aveva fatto ritagliare il mio articolo su cui aveva appuntato in rosso: “Comprare a qualsiasi prezzo”.
Ma Milo Temesvar non si è limitato a questo. Se leggete l’introduzione al Nome della rosa, vi è citato un testo di Temesvar. Ho quindi ritrovato il nome di Temesvar in alcune bibliografie. Di recente, per fare una parodia del Codice Da Vinci, ho citato alcune delle sue opere in georgiano e in russo, provando così che ha dedicato all’opera di Dan Brown degli studi molto acuti. Insomma, ho vissuto tutta la vita con Milo Temesvar.”
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Il museo dell’innocenza– O Pamuk

domenica 26 dicembre 2010 Posted by tfrab 0 comments

pamuk-museoL’ultimo romanzo di Orhan Pamuk parla di una storia d’amore bellissima e tragica, che nasce nella Istanbul degli anni ’70. L’inizio del libro è giocato sul contrasto tra l’ambiente di estrazione del protagonista del libro, Kemal, e della sua promessa sposa, Sibel, rispetto alla Istanbul popolare, incarnata dalla bella Füsun. La vita porterà Kemal a dover fare un scelta difficile, che passerà necessariamente attraverso il sacrificio: come avverte uno dei personaggi minori del romanzo, Çetin, richiamando la storia di Abramo durante la īd al-aḍḥā:

“[…]Se doniamo ciò che più di prezioso abbiamo a qualcuno che amiamo profondamente, senza aspettarci nulla in cambio, solo allora il mondo diventa un posto meraviglioso”

agli occhi del lettore l’epilogo degli eventi potrebbe apparire quanto mai triste, eppure Kemal, il protagonista del libro, chiede esplicitamente che il libro si chiuda con la frase:

“Tutti devono saperlo: ho avuto una vita felice”

La contraddizione è solo apparente, e risulta chiara quando si vada a considerare il tema più importante del romanzo: il Tempo. Infatti:

“[…]ricordare il tempo è fonte di dolore per la maggior parte delle persone. Sforzarsi di immaginare la linea che unisce i singoli istanti […] ci rattrista sia perché avvertiamo la sua inesorabile fine, cioè la morte, sia perché invecchiando, comprendiamo dolorosamente che la linea in se è priva di senso. I singoli istanti, invece, possono regalarci una felicità che non si esaurisce per per centinaia di anni[…]”

Insomma, la ricerca del tempo perduto è una necessità ineluttabile, di fronte alle pene d’amore, ai lutti della vita e ai cambiamenti feroci che attraversano Istanbul, che sembra perdere un po’ della sua anima con la modernizzazione, forzata dall’ingenua illusione di farsi facilmente “europei” a dispetto delle proprie radici.

Il fantasma di Proust, e della sua Recherche, aleggia per tutto il libro, e si fa più forte verso la fine, quando viene esplicitamente citato più volte. Se nella Recherche è l’opera d’arte a dare senso alla Vita, e a permettere di ritrovare il tempo perduto, qui è la consapevolezza dell’importanza dei singoli istanti, dell’unicità del nostro vissuto e delle nostre esperienze personali ad essere messa in risalto, al punto che in un museo (*) trovano un posto importante oggetti apparentemente banali, come saliere, mozziconi di sigaretta o soprammobili da quattro soldi.

La riflessione di Pamuk, insomma, va al di là della storia d’amore, pur incantevole e struggente, che racconta. Ci parla di noi stessi e della nostra vita (ancora Proust diceva che ogni lettore in un romanzo legge se stesso), del passaggio storico che stiamo vivendo in questi anni, in Turchia più marcato che altrove, della difficoltà e del fascino di “essere un ponte tra due rive”.

 

(*)il museo di cui parla il libro esiste davvero, ed è stato fondato da Pamuk da Istanbul

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I detective selvaggi–R Bolaño

domenica 5 dicembre 2010 Posted by tfrab 0 comments

“I detective selvaggi” racconta la storia di due personaggi, Ulises Lima e Arturo Belano, attraverso venti anni di peregrinazioni tra America, Europa ed Africa.

La storia è narrata in maniera originale: non vediamo mai i due protagonisti in primo piano, piuttosto attraversano le storia degli altri, in modo che nei ricordi di uno studente di Tel Aviv, di un'infermiera di Barcellona o di un reporter in Angola, seguiamo le loro avventure.

Ne deriva una narrazione straordinariamente ricca, faticosa forse da seguire, almeno all'inizio, e che conferma in pieno il talento fuori dal comune di questo scrittore, morto troppo presto.

Il lettore attento troverà diversi accenni a 2666: un romanzo scritto da Arcimboldi, il mezcal "Los Suicidas", un personaggio che parla del "mondo dopo il 2600" e la parte finale ambientata nel Sonora.

Un libro che, più che ammirazione, desta rimpianto per quello che poteva essere 2666 e che invece rimarrà incompiuto.

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La morte di Mario Monicelli

martedì 30 novembre 2010 Posted by tfrab 2 comments

Io a Monicelli gli ho voluto bene, davvero. Non poteva essere altrimenti, sono malato di "Amici miei" da tempo. Mia moglie all'inizio rimaneva sconcertata dal mio prenotare al ristorante a nome Mascetti (spesso con supercazzola inclusa) e non si spiegava l'ilarità di vedere un vicino di casa, medico, che si chiamava Sassaroli.
Però tanto sono rimasto colpito dal gesto estremo, quanto trovo ancora più incomprensibili le interpretazioni del suicidio di Mario che vengono proposte con una certa sicurezza su molti blog, e anche da parecchi miei contatti su FriendFeed. Togliersi la vita vuol dire riaffermare il diritto a disporne liberamente, in barba ai tanti baciapile che popolano l’Italia? Può essere, però non mi sembra di aver trovato da nessuna parte prova di questa interpretazione. Non mi sentirei di giudicare così a cuor leggero. Non dico mica che Monicelli non sapesse quello faceva, dico che difficilmente possiamo saperlo noi.
Pensare che il suo togliersi la vita abbia rappresentato un riaffermarne la piena disponibilità è, forse, plausibile, magari anche poetico a modo suo, ma dimostrato proprio no.
Se posso spingermi un po' più in là, considerando che molti sostenitori di questa tesi sono, ognuno a modo suo, laici, mi sembra di cogliere un paradosso. Il credente è dubbioso di fronte alla vita e al suo mistero: nonostante sia un uomo di fede non mi pare abbia tutte le certezze che comunemente gli vengono attribuite. Più semplicemente riconosce i suoi limiti e si affida ad altre "categorie" per provare a vivere la vita pienamente. Al contrario mi pare che la posizione laica, negando questo stesso mistero, o comunque provando a risolverlo con la finitezza umana, rimanga disarmata in situazioni così estreme, peccando così per troppa sicurezza. Proprio loro, che non hanno fede!
Oppure no?

L'evoluzione della cultura - LL Cavalli Sforza

domenica 7 novembre 2010 Posted by tfrab 0 comments
Libro molto interessante, letto in versione ebook grazie alla nuova sezione di IBS, e scritto da un gigante del settore. Il tema di fondo è l'analogia tra evoluzione di Darwin e quella culturale. La panoramica è ampia, e invevitabilmente poco profonda, eppure il testo è una lettura piacevolissima e stimolante.

Purtroppo il nostro conferma come molti grandi scienziati abbiano idee un po' limitate quando si parla di filosofia, epistemologia ed affini.

Si parte con le solite banalità su Galileo e la Chiesa che frena lo sviluppo del libero pensiero, per finire con un terrificante capitolo XVI, in cui praticamente tutta la Filosofia, da Platone a Cartesio, compresi i loro successori, viene liquidata in due righe, giudicandola ormai superata. La fine, secondo Cavalli Sforza, sarebbe imminente grazie ai grandi progressi nello studio della mente, tanto che "in poche decine di anni il pensiero umano potrà capire il pensiero umano".

Sarebbe ingeneroso voler mettere in croce un pensatore così brillante per due righe assolutamente marginali nell'economia dal saggio, che ha ben altri obiettivi. Però mi permetto di dissentire da simili affermazioni. In primo luogo perché è l'emergere della Filosofia che ha aperto la strada al Logòs e poi alla Scienza: giudicarla superata vuol dire avere le idee piuttosto confuse sulle radici della propria professione. In secondo luogo perché i grandi pensatori della storia dell'uomo, e le religioni che alcuni di essi professavano, hanno ancora oggi molto da dire. Dubito che al senso profondo della nostra esperienza potrà mai bastare la comprensione delle basi biochimiche del suo funzionamento, e non credo che il mistero profondo della nostra esistenza sia tanto semplice da sciogliere: per citare Hayek (h/t to Sisma)

“Esisterà sempre una parte della nostra conoscenza che non potrà essere
controllata dall’esperienza, poiché ne costituisce il principio ordinatore, nel
senso che è implicita nell’apparato di classificazione con cui conseguiamo le
varie esperienze”.


Insomma, ho il sentore che l'ottimismo di Cavalli Sforza non sopravviverà alla prova del tempo, ma non ho prove per dimostrarlo: wait and see, ma noi non saremo lì per sapere come è andata a finire.
(e comunque da quando ho aperto il blog ho dato del pirla JD Watson, P Krugman e ora Cavalli Sforza. Praticamente tre premi Nobel: sarà il caso di darsi una regolata? :-P)

Bolaño e la fine del sacro

domenica 29 agosto 2010 Posted by tfrab 1 comments

“Le uniche sale cinematografiche che svolgevano una funzione, disse Charly Cruz, erano quelle vecchie, te le ricordi? Quei teatri enormi che quando spegnevano le luci ti davano una stretta al cuore. Quelle sale erano perfette, erano i veri cinema, i più simili a una chiesa, soffitti altissimi, grandi tende rosso granato, colonne, corridoi con vecchi tappeti logori, palchi, posti in platea o in galleria o in piccionaia, edifici eretti negli anni in cui il cinema era ancora un’esperienza religiosa, quotidiana ma religiosa, e cha a poco a poco sono stati demoliti per costruire banche o supermercati o multisale. Oggi, disse Charly Cruz, ne sopravvivono pochissimi, oggi tutti i cinema sono multisale, con schermi piccoli, spazi ridotti, poltrone comodissime. In una vecchia sala di quelle vere entrano sette sale ridotte di oggi. O dieci. O quindici, dipende. E non c’è più l’esperienza abissale, non esiste la vertigine prima dell’inizio di un film, nessuno si sente più solo dentro un multisala. Poi, da quanto ricordava Fate, si era messo a parlare della fine del sacro.

La fine era iniziata da qualche parte, a Charly Cruz non importava dove, forse nelle chiese, quando i preti avevano smesso di dire la messa in latino, o nelle famiglie, quando i padri avevano abbandonato (terrorizzati, credimi, brother) le madri. Ben presto la fine del sacro era arrivata al cinema. Avevano smantellato i grandi cinema e costruito scatole immonde chiamate multisale, cinema pratici, cinema funzionali. Le cattedrali erano crollate sotto la palla d’acciaio delle squadre di demolizione. Finché qualcuno non aveva inventato le videocassette. Un televisore non è la stessa cosa di uno schermo cinematografico. Il salotto di casa tua non è la stessa cosa di una vecchia platea quasi infinita. Ma se uno osserva con cura, è la cosa che più gli somiglia. Innanzitutto perché grazie alla videocassetta puoi vedere da solo un film. Chiudi le finestre di casa tua e accendi la televisione. Metti la cassetta e ti siedi in una poltrona.

Primo requisito: essere solo. La casa può essere grande o piccola, ma se non c’è nessun altro ogni casa, per piccola che sia, in qualche modo si amplia. Secondo requisito: preparare il momento, cioè noleggiare il film, comprare le bibite che berrai, gli stuzzichini che mangerai, decidere l’ora in cui ti siederai davanti alla tua televisione. Terzo requisito: non rispondere al telefono, ignorare il campanello della porta, essere prono a passare un’ora e mezzo o due ore, un’ora e quarantacinque minuti nella più completa e assoluta solitudine. Quarto requisito: tenere a portata di mano il telecomando, se per caso vuoi rivedere una scena più di una volta. Tutto qui. Da quel momento in poi tutto dipende dal film e da te. Se tutto va bene, e non sempre va bene, sei di nuovo in presenza del sacro.”

 

Che grande scrittore Bolaño. Benedette queste ferie che mi hanno lasciato un po’ di tempo per 2666. Ispanofoni e lettori particolarmente arditi possono cimentarsi con l’originale del pezzo a questo indirizzo.

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La prima pila atomica

sabato 21 agosto 2010 Posted by tfrab 2 comments

Clamoroso scoop del TGcom, che rivela come la prima pila atomica fosse, in realtà, opera dei nazisti:

 

70 anni fa

Dato che siamo nel 2010, se l’impianto è del 1940 sono ben due anni prima che il nostro Enrico Fermi accendesse, in quel di Chicago, il suo reattore nucleare.

Naturalmente sto scherzando, è una cantonata presa da chi ha scritto l’articolo. Cercando un po’ con Google News la notizia, col solito copia e incolla, si è diffusa su diversi siti, venendo ripresa anche da SKY TG. Non commento oltre, fa troppo caldo per gli insulti :-)

Non si può scegliere ciò di cui si è fatti

sabato 24 luglio 2010 Posted by tfrab 0 comments

“Non si può scegliere ciò di cui si è fatti, siamo sputo e polvere spinti dai venti di un'altra generazione, ma la cosa peggiore è svegliarsi un mattino e scoprire che le nostre ossa sono inevitabilmente impregnate di quella stessa caducità che sarebbe dovuta morire con i nostri antenati, stesse speranze e delusioni e amori e debolezze, scoprire che siamo e saremo in eterno prigionieri delle loro brame contorte e dei loro ideali.”

(Vikram Chandra - Terra rossa e pioggia scrosciante)

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The Long Summer B Fagan

giovedì 3 giugno 2010 Posted by tfrab 0 comments

long summerSe “Armi, Acciaio e Malattie” di Jared Diamond era un tentativo, riuscito, di spiegare l’influenza fondamentale della geografia sulla storia umana, The Long Summer di Brian Fagan segue un percorso analogo, in una sorta di sequel che si concentra sugli aspetti climatici.

Secondo l’autore il clima è una causa tanto importante quanto trascurata di molti rivolgimenti storici. È sulla spinta dei cambiamenti climatici che gli uomini hanno traversato, nel corso dei millenni, l’Europa e le steppe della Siberia, per poi arrivare in America. Il clima ha spinto l’umanità a modificare il proprio stile di vita, spingendola verso l’agricoltura e l’abbandono della condizione di cacciatori-raccoglitori. Al tempo stesso i cambiamenti climatici hanno determinato, attraverso inondazioni e siccità, il crollo di regni ed imperi: dagli Ittiti ai Maya, dall’Egitto all’antica Roma, intere civiltà sono state messe in ginocchio dalle bizze del clima.

Il libro non si limita a guardare indietro, però. In tempi di riscaldamento globale e cambiamenti seguenti, l’autore è molto scettico sulla capacità di adattarsi della nostra civiltà:

“Climate has helped civilization, but not by being benign. The unpredictable whims of the Holocene stressed human societies and forced them to either adapt or perish[…]The collapse often came as a complete surprise to rulers and elites who believed in royal infallibility and espoused rigid ideologies of power.

There is no reason to assume that we’ve somehow escaped this shaping process. Agriculture is less visible to us now – the number of people growing food has shrunk from 90 percent of labour force in Europe five hundred years ago to less than 3 percent in the US today – but we still need to eat. And now our vulnerability extends far beyond just growing food: our crowded coastlines with densely packed high-rises and apartment of finance and scholarship and entertainment, are beholden to the world’s climate in ways both obvious and hidden. Like many civilizations before us, we’ve simply traded up in scale, accepting vulnerability to the big, rare disaster in exchange for a better ability to handle the smaller, more common stresses, such as short term droughts and exceptionally rainy years.

But if we’ve become a supertanker among human societies, it’s an oddly inattentive one. Only a tiny fraction of the people on board are engaged with tending the engines. The rest are buying and selling goods among themselves, entertaining each other or studying the sky or the hydrodynamics of the hull. Those on the bridge have no charts or weather forecast and cannot even agree that they are needed; indeed, the most powerful among them subscribe to a theory that says storms don’t exist, or if they do, their effects are entirely benign, and the steepening swells and fleeing albatrosses can only be taken as a sign of divine favor. Few of those in command believe the gathering clouds have any relation to their fate or are concerned that there are lifeboats for only one in ten passengers. And no one dares to whisper in the helmsman’s ear that he might consider turning the wheel.”

Troppo pessimista? Leggete il parere del buon Brian su New Orleans:

“The battle to control the river never ceases, for a breach upstream is always possible and the awesome power of of the flooding water can break out anywhere. For the moment, the Corps believes the river is contained. But given the right combination of heavy snow and much higher than average rainfall, there is a real chance that the Mississipi will follow its own will and shift course to the Atchafalaya, as it obviously wants to do[…]Today the fate of a city of a million people and many billions of dollars of infrastructure depends on our control of half a continent’s worth of increasingly restless river water. New Orleans is safe against the flood that comes once every hundred years. As for the thousand-year flood or the ten thousand-year flood or the ten-thousand-year one, we can only hope for the best”

Il libro è uscito a fine 2004, Katrina arriverà pochi mesi dopo: e se per una volta ascoltassimo Cassandra?

Il buono dell’economia – L Zingales G Salvini

domenica 16 maggio 2010 Posted by tfrab 2 comments

zingsalv Etica e Mercato, di solito, sono una coppia che fatica ad andare d'accordo. Aggiungeteci un certo uso strumentale dell'etica applicata all'economia, e pensare di pubblicare qualcosa di sensato può sembrare velleitario. Eppure Luigi Einaudi scriveva:

"Tutti coloro che vanno alla fiera (quella di campagna, un'immagine che Einaudi utilizza per spiegare cos'è il mercato) sanno che questa non potrebbe aver luogo se, oltre ai banchi dei venditori i quali vantano la bontà della loro merce, ed oltre alla folla dei compratori che ammira la bella voce, ma prima vuole prendere in mano le scarpe per vedere se sono di cuoio o di cartone, non ci fosse qualcos'altro: il cappello a due punte della coppia di carabinieri che si vede passare sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere due che si sono presi a male parole, il palazzo del municipio, con il segretario ed il sindaco, la pretura e la conciliatura, il notaio che redige i contratti, l'avvocato cui si ricorre quando si crede di essere a torto imbrogliati in un contratto, il parroco, il quale ricorda i doveri del buon cristiano, doveri che non bisogna mai dimenticare nemmeno alla fiera". Insomma regole, principi e istituzioni.

Le premesse per parlare con cognizione di causa di etica e mercato, quindi, ci sono. Giampaolo Salvini è un bell'esponente di quella Chiesa capace di confrontarsi con la modernità e la secolarizzazione sforzandosi di capire il mondo che la circonda senza perdere la dimensione profetica propria del Cristianesimo. Luigi Zingales è un economista liberale capace, per quanto emerge dal dialogo, di un pensiero originale ed interessante. L'unico difetto del libro è una certa tendenza a vagare qua e là, senza arrivare ad una vera sintesi. Eppure qualche riflessione interessante si coglie, e ripaga l'investimento, non elevatissimo, in tempo e soldi. Visto quanto successo di recente qui in Europa mi sento di sottoscrivere questo:

"L'etica, dunque, va praticata più che predicata.E non possiamo illuderci che basti richiamarsi ad essa per uscire più forti dalla crisi. Anzi, forse, stiamo correndo il rischio opposto: come ha osservato il direttore editoriale dell'Institute of Economic Affairs, Philip Booth, «non è facile distinguere un comportamento etico da uno non etico quando i governi distorcono il funzionamento dei mercati» (per esempio, applicando la regola del too big to fail, o creando «incentivi alle banche per comportarsi incautamente»). «Il comportamento etico - insiste Booth - può promuovere, anzi promuoverà, mercati più stabili ed efficaci. Il problema è che quando i governi interferiscono, e nella misura in cui l'hanno fatto finora, non possiamo sapere quale comportamento crei ricchezza e quale comportamento alimenti il boom»”

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C’è grossa crisi

lunedì 10 maggio 2010 Posted by tfrab 0 comments

toomuchdebt

L’idea di fare ulteriore debito per sanare quello accumulato è probabilmente poco sensata. Lo spiegano benissimo Mario Seminerio, Michele Boldrin e Antonio Martino, che giustamente fa notare:

“Einaudi era consapevole che la causa fondamentale dell’instabilità monetaria risiede nella “monetizzazione del debito”, nella possibilità cioè degli Stati di finanziare le proprie spese con l’inflazione, e vedeva nell’Europa monetaria la soluzione del grave problema. Se la politica monetaria è affidata a una banca centrale autonoma, i singoli Stati non potranno più finanziare le loro spese creando quattrini, cioè inflazionando la propria moneta. Era questa l’ispirazione anche dei fautori delle regole del Trattato di Maastricht: la Bce in base ad esse non può “venire in soccorso” di uno Stato in gravi difficoltà finanziarie acquistandone quei titoli di debito che non riesce a collocare sul mercato. La decisione dell’Ecofin di creare un ”fondo anticrisi” […] autorizza di fatto la monetizzazione del debito a livello europeo, annullando il pilastro sul quale si sarebbe dovuta basare la stabilità dell’euro e rendendo possibile a livello europeo quell’inflazione che ha caratterizzato in varia misura la sovranità monetaria nazionale.”

Ora signori, se proprio si deve monetizzare, credo vada presa nella giusta considerazione questa proposta assolutamente geniale, anzi facciamo LibertyFirst ministro dell’Economia, comunque vada non sarà peggio di Tremonti :-D

If you want to succeed, double your failure rate

sabato 1 maggio 2010 Posted by tfrab 0 comments

"The cord that tethers ability to success is both loose and elastic. It is easy to see fine qualities in successful books or to see unpublished manuscripts, inexpensive vodkas, or people struggling in any field as somehow lacking. It is easy to believe that ideas that worked were good ideas, that ideas and plans that did not were ill conceived. And it is easy to make heroes out of the most successful and to glance with disdain at the least. But ability does not guarantee achievement, nor is achievement proportional to ability. And so it is important to always keep in mind the other term of the equation - the role of chance"

 

(Leonard Mlodinow- The Drunkard’s Walk)

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La partita di basket più bella di sempre

venerdì 26 marzo 2010 Posted by tfrab 0 comments

È stata giocata nel 1992, ed è durata cinque, meravigliosi, minuti. Purtroppo non abbiamo testimonianze video, solo il racconto dei pochissimi che ebbero la fortuna di assistervi.

On Wednesday, July 22, the West (Magic, Drexler, Robinson, Malone and Barkley) lined up opposite the East (Bird, Jordan, Pippen, Ewing, Mullin*, and Laettner) for an in-practice scrimmage. Magic, feeling particularly spry, sparked his team to an early 14-2 advantage with a dazzling display of artistic passes: after driving to the hole, he sneered good-naturedly, “Hey, M.J., you better get with it”

Jordan’s fist clenched. He called for the ball, drove to the basket, elevated, then dunked it trough.

“That good enough for you?” he said.

Pippen immediately perked up when saw Jordan’s suddenly glowering visage.

“Y’all have done it now”, Pippen said, grimming.

Jordan swarmed the West team with traps and full-court pressure. He jumped the passing lanes, knocked down one-handed slams, pushed Magic off the block, and hit fadeaways, barking at the West’s suddendly impotent squad as he continued his scoring rampage. Within minutes, the score was tied. Johnson, rankled by the calls (or no calls) of the coaching staff, complained, “It’s like I’m in Chicago Stadium! They moved it to Monte Carlo!”

“Welcome to the 90’s” Jordan retorted.[…]

When the “regulation” scrimmage ended in a tie, both Jordan and Johnson instructed their respective teams to remain on the floor.

“We’re going again” Jordan said.

“No,” Daily interjected “We don’t need any more injuries.”

For the first and only time, the players ignored Daly’s pleas. Five more minutes of high-octane basketball followed, with Ewing and Robinson grinding in the post, Barkley and Malone wrestling for the boards, Bird angling for the perimeter dagger, and Magic controlling tempo. Yet it was Jordan who had the last word, with a melodious display of basketball trickery that Gavitt would later mantain was the most amazing five minutes of basketball he’d ever seen. […]Jordan recalled[…]”It was the most fun I’ve ever had playing basketball”

* questo è chiaramente un errore: Mullin giocava a Golden State, quindi sarebbe dovuto scendere in campo con l’Ovest. Inoltre Barkley era nelll’estate di passaggio Philadelphia-Phoenix, probabile fosse schierato ad est. Così i due quintetti sono meglio assortiti, e si può immaginare il duello Malone-Barkley di cui si parla in seguito.

(Brano tratto da “When the game was ours”)

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I would prefer not to

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Ho capito, anche quest’anno si vota alla Bartleby

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Totally unnecessary post

venerdì 19 marzo 2010 Posted by tfrab 0 comments

Torno a scrivere sul blog, dopo una lunga pausa. Mi piacerebbe farmi vivo più spesso, ma ho davvero troppo da fare ultimamente. Ai miei venticinque lettori lascio qualche segnalazione, in attesa di avere più tempo libero.

    - La Grecia è sull’orlo del default, e i tedeschi non hanno necessariamente tutta questa voglia di lanciarsi al salvataggio. Not too big to fail? Magari…

    - Questo articolo di Peter Zeihan parla della storia, e della geografia, europea, e spiega l’Unione Europea da un punto di vista geostrategico: nata come tentativo di inglobare la Germania e sottrarla al perenne rischio di trovarsi in una guerra tra due fuochi, adesso sono i tedeschi, con l’Euro, a menare le danze. Il futuro, possibile, è un’Europa fatta a misura di Germania, ovvero come fare con i soldi quello che non è riuscito con un secolo di guerre

    - Quest’altro pezzo di Luigi Zingales fa un paragone interessante tra unificazione italiana ed europea. Va a finire che in futuro ci ritroviamo con una “questione meridionale” su scala continentale. Ma che ci sta a fare Zingales a Repubblica, nello stesso giornale di Serra e Zucconi? Mah…

    - NBA: I Milwaukee Bucks sono quasi ai playoff, come il vostro austro ungarico aveva predetto in tempi non sospetti. Peccato siano spariti, col restyling del sito, i commenti di playitusa.com. Tal “tifoso knicks”, molto scettico in proposito,  mi aveva promesso una cena. Ecco, se sei in ascolto per me va bene una capricciosa e una chiara media :-)

- Musica: l’ultimo di Brad Mehldau è meraviglioso, Sky Turning Grey è in “heavy rotation”

 

P.S.: oggi sono otto anni dall’assassinio di Marco Biagi, e l’uomo che lo definì “rompicoglioni” fa tranquillamente il ministro.

La dimensione della provvisorietà

venerdì 12 febbraio 2010 Posted by tfrab 0 comments

L’essere umano spasima di raggiungere una pienezza che non potrà mai ottenere, se non in rari e fugacissimi momenti. Il cuore dell’uomo anela ad un’eternità di cui talvolta percepisce l’esistenza. L’uomo è un perenne insoddisfatto, anche quando è apparentemente appagato di tutto. E questo avviene perché la vita di ciascuno di noi ha nostalgia di potersi riavvicinare all’Amore che l’ha generata.

“Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Ebrei 13,14)

Il tempo per ogni creatura umana è un tempo breve, urgente, che passa e non torna. E in questo tempo fugace si gioca la riuscita della nostra vita, l’eternità, la nostra scelta per il sempre. Un tempo breve, urgente, anche per il mondo che cambia intorno a noi. La Parola di Dio ci richiama ad una dimensione essenziale del vivere, la dimensione della provvisorietà […] Nomadi. Questa è la condizione reale, oggettiva, di ognuno di noi, di ogni famiglia, di tutti su questa terra. Ma siamo capaci di vivere così?

(C M Martini – Le ali della libertà)

Linea di porta - A e M Lippi

giovedì 4 febbraio 2010 Posted by tfrab 0 comments

 

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Il calcio è uno sport crudele e, forse, ingiusto. Molte partite vengono decise da episodi, stravolgendo quello che si era visto in campo fino a quel momento. Intere stagioni, o campionati del mondo, sono segnati in maniera indelebile da un palo colpito o un rigore sbagliato. Eppure a ben vedere è proprio qui la giustizia ultima del calcio, che non nega mai una possibilità agli ultimi, agli sfavoriti. in una riedizione continua di Davide contro Golia.

Andrea e Marco lippi (saranno parenti del CT? boh...) partono da questa intuizione felice e ripercorrono 14 (+1) partite cruciali, episodi che hanno segnato la storia del calcio recente, e che molti di noi ricordano ancora a distanza di anni. Lo scudetto perso dall'Inter, la tragica finale del Milan di Instanbul, il trionfo italiano di Spagna '82: ci sono più o meno tutti. Non mancano neanche alcuni ricordi vividi nella memoria dei romanisti come me, vedi la partita decisiva di Torino (a proposito, grazie ancora Edwin :-P ) e la disfatta incredibile con il Lecce della spettacolare squadra di Eriksson.

Non un libro eccezionale, ma si legge tutto d'un fiato, e ti lascia lì a pensare alle parole di Nick Hornby, che aprono il libro:

"La vita non è, e non è mai stata, una vittoria per 2-0 contro i primi in classifica, e la pancia piena di patatine fritte"

proprio vero Nick e probabilmente noi, tifosi della Roma, lo sappiamo meglio di altri

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Mondo multipolare (slumdog astrophysicist strikes back)

mercoledì 27 gennaio 2010 Posted by tfrab 0 comments

C'è chi sulla luna ci andrà, e c'è chi rinuncia per mancanza di fondi. Si, OK, Barack, ci siete già stati, ma detta così fa molto "the fox & the grapes".

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Gli africani salveranno Rosarno - A Mangano

domenica 10 gennaio 2010 Posted by tfrab 0 comments

Gli africani salveranno RosarnoLa cosa più sconvolgente leggendo “Gli africani salveranno Rosarno” sono i rapporti di Medici Senza Frontiere. Non tanto per il contenuto dei documenti, che potete trovare sul loro sito. È il fatto stesso che MSF debba operare sul nostro territorio, che lascia allibiti. Notate che:

“MSF ha ripetutamente contattato le autorità nelle regioni dove ha lavorato in questi anni, incluse le autorità in Calabria, per sottolineare la grave situazione umanitaria e i bisogni dei lavoratori migranti che vivono in Italia e la necessità di prendere provvedimenti urgenti per migliorare la loro situazione.”

e il primo rapporto sulla situazione risale almeno al 2005. Dato che il mio calendario segna il 2010, che avranno fatto le varie istituzioni in questi cinque anni? Indovinato: poco o nulla, a parte installare, nel 2007, ben otto bagni chimici e sei docce, nella ex cartiera dove vivono cinquecento persone. “They only speak and do nothing”, dice uno degli intervistati, che evidentemente ha capito bene come funzioni la politica in Italia.

Ora voi penserete che io abbia letto un instant book, appena pubblicato sull’onda emotiva dei fatti di Rosarno. Invece il libro era già in commercio, parla della rivolta di fine 2008, che io non ricordavo neanche un po’, e nemmeno voi, probabilmente. Eppure sembra di leggere la cronaca di questi giorni. Antonello Mangano ripercorre puntualmente la storia recente della Calabria, con la ‘ndrangheta che detta legge, la violenza che domina tutti gli aspetti delle relazioni sociali, e i fiumi di denaro pubblico in arrivo che riempiono le tasche dei soliti noti.

In un contesto così duro arrivano gli immigrati, attratti in Italia dalla speranza di un futuro migliore, e che in alcuni casi si ritrovano quasi a rimpiangere la loro condizione di partenza, persino chi è partito dal Darfur, e credeva di essersi lasciato il peggio alle spalle. Il titolo del libro è comunque speranzoso, anche se provocatorio. Secondo Mangano:

“[…] gli immigrati salveranno Rosarno, allora. Lo salveranno se con il loro esempio riusciranno a risvegliare coscienze sopite, senso dello Stato dimenticato. Se, in una parola, saranno contagiosi. Certo è che la loro rivolta ha acceso una luce, che questo libro vuole continuare a mantenere viva”.

Chiuso il libro viene da riflettere. Certamente sulle condizioni disumane in cui vivono troppe persone sul nostro territorio. Su come in alcune zone d’Italia lo Stato abbia decisamente perso il controllo, lasciando il territorio in mano a dei veri e propri warlord. O su come la ricchezza più importante, il capitale umano, venga così stupidamente dissipata, per la manifesta incapacità politica di far funzionare le leggi in vigore.

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In ricordo di Beniamino Placido

mercoledì 6 gennaio 2010 Posted by tfrab 0 comments

Approssimativamente a fine anni ‘80 mi capitava di comprare Repubblica. Sostanzialmente per due motivi: lo sport (c’erano Gianni Brera e Gianni Mura, che c’è ancora, credo) e Beniamino Placido. Adoravo come sapeva scrivere di TV, e lo stile con cui lo faceva. Ho avuto modo anche di leggere il piccolo libro che pubblicò, anni fa, con il titolo “La televisione col cagnolino”.

La notizia della sua morte mi ha colpito e addolorato, non sapevo fosse malato. Ho cercato il libro, ma non riesco a trovarlo, spero sia semplicemente rimasto a casa dei miei, lasciato indietro in uno dei tanti traslochi degli anni recenti. Mi ricordo un delizioso pezzo a fine libro, dedicato ad una suorina che vendeva le fotocopie delle dispense di teologia.

Spero di ritrovarlo, per lasciare un internet un piccolo ricordo, nel frattempo me la cavo con questo link di Leonardo e quest’altro, dedicato proprio al libro in questione. Addio Beniamino, la terra ti sia lieve.

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Post American World – F Zakaria

Posted by tfrab 3 comments

Nel luglio del 2002 una disputa di confine si accese tra Spagna e Marocco, relativa alla piccola isola di Leila (o Perejil se siete spagnoli). Una piccola bega di confine, che però poteva portare a gravi tensioni tra i due paesi. Chi ha fatto da arbitro in quell’occasione? Non le Nazioni Unite, o l’Unione Europea, e neanche una potenza regionale come la Francia, in buoni rapporti con entrambi i litiganti. Furono gli Stati Uniti a fare da paciere. Eppure non hanno interessi particolari nella zona di Gibilterra, non dispongono di influenza specifica verso nessuno dei due stati coinvolti (come la UE), e non possono dire di parlare a nome della comunità internazionale (come l’ONU). Ma, almeno all’epoca, erano la prima ed unica superpotenza mondiale, e il resto del mondo, volente o nolente, doveva ascoltare, in virtù dell’immenso potere americano. A pochi anni di distanza cosa è cambiato? Certo gli Stati Uniti sono ancora una potenza ineguagliata, ma gli scricchiolii sono evidenti. In Iraq ed Afghanistan ci sono difficoltà notevoli, in Georgia la Russia può agire indisturbata, a Copenaghen non si arriva da nessuna parte senza la Cina, Russia ed Ucraina si accordano in euro, invece che in dollari.

Tutti sintomi che sembrano dare ragione alla tesi di fondo del libro: stiamo vivendo un passaggio dal mondo unipolare degli ultimi anni ad uno sempre più multipolare, in cui gli Stati uniti conteranno meno. Non tanto per un loro declino, quanto per la crescita degli altri. Come altre volte nella storia è proprio l’impero americano ad aver favorito questa crescita.

L’eredità del mondo unipolare

Secondo Goldman-Sachs, entro il 2040, Cina, India, Brasile, Russia e Messico, combinate insieme, saranno economicamente più rilevanti dell’attuale G7. La crescita di queste nuove economie è avvenuta grazie alle condizioni di straordinaria pace e prosperità del mondo odierno. Sembra un’affermazione troppo ottimistica, a fronte delle tragedie che i media ci descrivono ogni giorno. Eppure i dati sono inequivocabili.

  • La povertà è in diminuzione: la percentuale di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno è scesa dal 40% del 1981 al 18% del 2004. La stima è il 12% nel 2015.
  • Guerra e violenza a livello mondiale sono in declino. Le guerre, tra stati o interne, si sono dimezzate a livello mondiale nel decennio post guerra fredda. Secondo Steven Pinker è probabile che quello odierno sia il periodo più pacifico di sempre della razza umana.
  • Anche il grande problema di questo inizio secolo, il terrorismo islamico, esce molto ridimensionato dalle pagine del libro. Siamo di fronte, infatti, ad una serie di piccoli gruppi locali che hanno un potere molto limitato. Si tratta di sfide relativamente semplici, specie se rapportate al pericolo fascista o comunista con il quale ci siamo confrontati. Anche perché non ci sono molti ammiratori del “modello Al Qaeda”, a differenza di quanto accadeva con le fascisti e comunisti (Fareed non conosce Massimo Fini, però :-) ndFAU).
  • Il fantasma di Eurabia è poco credibile: i musulmani sono il 3% della popolazioone europea, e le stime parlano di una crescita fino ad un 5-8%, seguita da una stabilizzazione. In sintesi il fenomeno terroristico, secondo Fareed, è destinato ad essere sconfitto. Anche perché la società moderna, caratterizzata da una forte complessità, avrebbe una resilienza molto elevata, tale da vanificare l’effetto di bombe ed altro.

India e Cina

L’ascesa più impressionante, dal punto di vista economico e demografico, è naturalmente quella di India e Cina. I due paesi non si sono limitati a beneficiare della globalizzazione, ma stanno dando un contributo fondamentale al processo in atto. La loro capacità di fornire beni e servizi a costi molto bassi sta mettendo un freno formidabile all’inflazione mondiale. Si tratta, però, di due paesi radicalmente diversi, quasi all’opposto. In Cina abbiamo una transizione fortemente guidata dal centro, che sta lentamente aprendo al capitalismo ed alla libertà economica, cercando di gestire al meglio il passaggio epocale. Accanto alla crescita impressionante del paese, però, non mancano i punti interrogativi. La Cina è un immane disastro ambientale:il 26% dei corsi d’acqua è praticamente morto, una vera fogna a cielo aperto, e l’aria è inquinatissima. I problemi dello statalismo, nonostante la competenza dimostrata finora dalla classe dirigente, si fanno comunque sentire: è stata davvero una buona idea la politica demografica del figlio unico? il problema più grande è però il futuro: cosa succederà quando cominceranno ad aumentare le richieste di libertà?

Countries that marketize and modernize begin changing politically around the time that they achieve middle-income status (a rough caraterization, that lies somewhere between $ 5,000 qand $ 10,000) Since China’s income level is still below that range, it cannot be argue that the country has defeated this trend,

La classe politica cinese è in grado di fare davvero politica? Oppure è solo un mix di tecnocrati e funzionari di partito inadatti al ruolo? L’autore sembra molto scettico in proposito, a causa della selezione con cui i funzionari sono cooptati nel partito.

La vicina India ha una classe politica molto indietro rispetto alla società, straordinariamente vivace e avanzata. Il 50% dell’economia indiana è dato dai servizi, un dato introvabile in altre economie del mondo in via di sviluppo. Sono le cifre di Grecia e Portogallo, paesi UE relativamente avanzati, che di certo non ospitano centinaia di milioni di poveri sul proprio territorio. Il merito è, secondo Zakaria, dell’eredità post-coloniale inglese, che ha lasciato un’organizzazione comunque efficiente, e soprattutto la lingua inglese, chiave d’ingresso dell’India nella modernità. La situazione indiana è probabilmente quella più simile agli USA, e i rapporti tra i due stati sono molto stretti, grazie anche all’emigrazione indiana. Finora l’India è cresciuta nonostante la sua classe politica: quanto durerà ancora? Riuscirà la traballante politica indiana a tenere insieme uno stato così eterogeneo, che conta 17 lingue e 22,000 dialetti? È in grado questa classe politica di definire l’interesse nazionale di un coacervo così vasto di popoli e difenderlo adeguatamente? Di sicuro, almeno nel medio.breve periodo, l’India non riuscirà a pareggiare il peso della Cina, e sarà più una potenza regionale che mondiale. Anche qua il paragone corre agli USA, in particolare al periodo precedente le due guerre mondiali.

Le incognite del futuro

L’ingresso sulla scena internazionale di due pesi massimi del genere è destinato a pesare moltissimo.

“[…]throughout history, great powers have seen themselves as having the best intentions but being forced to act to protect their ever-expanding interests. And as the world’s number two country, China will expand its interests substantially […] That is the central challenge of the rise of the rest – to stop the forces of global growth from turning into the forces of global disorder and disintegration.”

Una sfida difficile, complicata dal Clash of Civilization, ben descritto da Huntington anni fa. Lo stato nazione è un’invenzione recente. Religioni, etnie, e gruppi linguistici sono molto più vecchi, e la globalizzazione, lungi dall’indebolirli, sembra averli rafforzati.

Il ruolo dell’occidente

In un mondo che sta cambiando in questo modo l’occidente non deve rassegnarsi alla marginalizzazione, ma trovare strategie nuove per risolvere i problemi, e mantenere una posizione di primo piano nel nuovo panorama. Difficilmente sarà la nascente Unione Europea ad infilarsi nelle brecce lasciate aperte dal declino americano. Nel breve periodo, infatti, l’Europa potrebbe rivaleggiare con gli USA, ma ha un handicap quasi insuperabile: la demografia. L’unico argine al progressivo invecchiamento sembrerebbe l’immigrazione, che però riesce a malapena a non far calare la popolazione, e il maggior sertbatoio di immigrati, il medio oriente, si sta dimostrando difficilissimo da integrare.

Per gli USA invece, che non hanno questo problema, Zakaria propone delle idee interessanti. Imporre la soluzione con la forza non risolve nulla: ci vuole più multilateralismo, la sensazione che le azioni, in qualche modo, siano condivise dal resto della comunità internazionale. Il confronto tra le due guerre del Golfo rivela i grandi errori di politica estera degli ultimi anni. Da notare che Zakaria non identifica la legittimità internazionale con l’ONU (per lui anche l’intervento in Kosovo era pienamente legittimato). L’idea è quella di un internazionalismo a la carte, in cui le varie organizzazioni, o anche alleanze ad hoc, vengono usate di volta in volta per risolvere le crisi che si presentano. È importante che l’America riesca a sfruttare l’enorme soft power di cui dispone, che non si chiuda al mondo,  perché l’immigrazione e l’apertura verso gli altri sono la vera forza storica degli Stati Uniti, e che continui ad investire sull’istruzione d’elite, la ricerca e sviluppo, conservando il ruolo di maggior innovatore tecnologico globale.

Se queste premesse saranno rispettate allora l’America avrà la forza di diventa una specie di “hub” della politica mondiale, prendendo a modello l’azione politica di Bismarck nell’Europa del XIX secolo. Gli Stati Uniti devono diventare, per ogni nazione, un partner più affidabile di qualsiasi altra nazione. In questo modo il paese, rimane il centro della politica mondiale, sia pure in stretta collaborazione con le potenze emergenti. A dimostrazione che la politica americana è rimasta indietro rispetto alla società l’autore fa l’esempio delle multinazionali USA, in grado di formare alleanze locali,e di rimanere così dominanti a livello globale.

Come europeo ed occidentale spero che Zakaria abbia ragione, e che in qualche modo il nostro modello rimanga quello di riferimento per molti anni a venire. Pur con tutti i suoi difetti e le sue contraddizioni c’è ancora un sogno americano, ed è quello cui, in qualche modo, molte persone al mondo aspirano.