Post American World – F Zakaria

mercoledì 6 gennaio 2010 Posted by tfrab

Nel luglio del 2002 una disputa di confine si accese tra Spagna e Marocco, relativa alla piccola isola di Leila (o Perejil se siete spagnoli). Una piccola bega di confine, che però poteva portare a gravi tensioni tra i due paesi. Chi ha fatto da arbitro in quell’occasione? Non le Nazioni Unite, o l’Unione Europea, e neanche una potenza regionale come la Francia, in buoni rapporti con entrambi i litiganti. Furono gli Stati Uniti a fare da paciere. Eppure non hanno interessi particolari nella zona di Gibilterra, non dispongono di influenza specifica verso nessuno dei due stati coinvolti (come la UE), e non possono dire di parlare a nome della comunità internazionale (come l’ONU). Ma, almeno all’epoca, erano la prima ed unica superpotenza mondiale, e il resto del mondo, volente o nolente, doveva ascoltare, in virtù dell’immenso potere americano. A pochi anni di distanza cosa è cambiato? Certo gli Stati Uniti sono ancora una potenza ineguagliata, ma gli scricchiolii sono evidenti. In Iraq ed Afghanistan ci sono difficoltà notevoli, in Georgia la Russia può agire indisturbata, a Copenaghen non si arriva da nessuna parte senza la Cina, Russia ed Ucraina si accordano in euro, invece che in dollari.

Tutti sintomi che sembrano dare ragione alla tesi di fondo del libro: stiamo vivendo un passaggio dal mondo unipolare degli ultimi anni ad uno sempre più multipolare, in cui gli Stati uniti conteranno meno. Non tanto per un loro declino, quanto per la crescita degli altri. Come altre volte nella storia è proprio l’impero americano ad aver favorito questa crescita.

L’eredità del mondo unipolare

Secondo Goldman-Sachs, entro il 2040, Cina, India, Brasile, Russia e Messico, combinate insieme, saranno economicamente più rilevanti dell’attuale G7. La crescita di queste nuove economie è avvenuta grazie alle condizioni di straordinaria pace e prosperità del mondo odierno. Sembra un’affermazione troppo ottimistica, a fronte delle tragedie che i media ci descrivono ogni giorno. Eppure i dati sono inequivocabili.

  • La povertà è in diminuzione: la percentuale di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno è scesa dal 40% del 1981 al 18% del 2004. La stima è il 12% nel 2015.
  • Guerra e violenza a livello mondiale sono in declino. Le guerre, tra stati o interne, si sono dimezzate a livello mondiale nel decennio post guerra fredda. Secondo Steven Pinker è probabile che quello odierno sia il periodo più pacifico di sempre della razza umana.
  • Anche il grande problema di questo inizio secolo, il terrorismo islamico, esce molto ridimensionato dalle pagine del libro. Siamo di fronte, infatti, ad una serie di piccoli gruppi locali che hanno un potere molto limitato. Si tratta di sfide relativamente semplici, specie se rapportate al pericolo fascista o comunista con il quale ci siamo confrontati. Anche perché non ci sono molti ammiratori del “modello Al Qaeda”, a differenza di quanto accadeva con le fascisti e comunisti (Fareed non conosce Massimo Fini, però :-) ndFAU).
  • Il fantasma di Eurabia è poco credibile: i musulmani sono il 3% della popolazioone europea, e le stime parlano di una crescita fino ad un 5-8%, seguita da una stabilizzazione. In sintesi il fenomeno terroristico, secondo Fareed, è destinato ad essere sconfitto. Anche perché la società moderna, caratterizzata da una forte complessità, avrebbe una resilienza molto elevata, tale da vanificare l’effetto di bombe ed altro.

India e Cina

L’ascesa più impressionante, dal punto di vista economico e demografico, è naturalmente quella di India e Cina. I due paesi non si sono limitati a beneficiare della globalizzazione, ma stanno dando un contributo fondamentale al processo in atto. La loro capacità di fornire beni e servizi a costi molto bassi sta mettendo un freno formidabile all’inflazione mondiale. Si tratta, però, di due paesi radicalmente diversi, quasi all’opposto. In Cina abbiamo una transizione fortemente guidata dal centro, che sta lentamente aprendo al capitalismo ed alla libertà economica, cercando di gestire al meglio il passaggio epocale. Accanto alla crescita impressionante del paese, però, non mancano i punti interrogativi. La Cina è un immane disastro ambientale:il 26% dei corsi d’acqua è praticamente morto, una vera fogna a cielo aperto, e l’aria è inquinatissima. I problemi dello statalismo, nonostante la competenza dimostrata finora dalla classe dirigente, si fanno comunque sentire: è stata davvero una buona idea la politica demografica del figlio unico? il problema più grande è però il futuro: cosa succederà quando cominceranno ad aumentare le richieste di libertà?

Countries that marketize and modernize begin changing politically around the time that they achieve middle-income status (a rough caraterization, that lies somewhere between $ 5,000 qand $ 10,000) Since China’s income level is still below that range, it cannot be argue that the country has defeated this trend,

La classe politica cinese è in grado di fare davvero politica? Oppure è solo un mix di tecnocrati e funzionari di partito inadatti al ruolo? L’autore sembra molto scettico in proposito, a causa della selezione con cui i funzionari sono cooptati nel partito.

La vicina India ha una classe politica molto indietro rispetto alla società, straordinariamente vivace e avanzata. Il 50% dell’economia indiana è dato dai servizi, un dato introvabile in altre economie del mondo in via di sviluppo. Sono le cifre di Grecia e Portogallo, paesi UE relativamente avanzati, che di certo non ospitano centinaia di milioni di poveri sul proprio territorio. Il merito è, secondo Zakaria, dell’eredità post-coloniale inglese, che ha lasciato un’organizzazione comunque efficiente, e soprattutto la lingua inglese, chiave d’ingresso dell’India nella modernità. La situazione indiana è probabilmente quella più simile agli USA, e i rapporti tra i due stati sono molto stretti, grazie anche all’emigrazione indiana. Finora l’India è cresciuta nonostante la sua classe politica: quanto durerà ancora? Riuscirà la traballante politica indiana a tenere insieme uno stato così eterogeneo, che conta 17 lingue e 22,000 dialetti? È in grado questa classe politica di definire l’interesse nazionale di un coacervo così vasto di popoli e difenderlo adeguatamente? Di sicuro, almeno nel medio.breve periodo, l’India non riuscirà a pareggiare il peso della Cina, e sarà più una potenza regionale che mondiale. Anche qua il paragone corre agli USA, in particolare al periodo precedente le due guerre mondiali.

Le incognite del futuro

L’ingresso sulla scena internazionale di due pesi massimi del genere è destinato a pesare moltissimo.

“[…]throughout history, great powers have seen themselves as having the best intentions but being forced to act to protect their ever-expanding interests. And as the world’s number two country, China will expand its interests substantially […] That is the central challenge of the rise of the rest – to stop the forces of global growth from turning into the forces of global disorder and disintegration.”

Una sfida difficile, complicata dal Clash of Civilization, ben descritto da Huntington anni fa. Lo stato nazione è un’invenzione recente. Religioni, etnie, e gruppi linguistici sono molto più vecchi, e la globalizzazione, lungi dall’indebolirli, sembra averli rafforzati.

Il ruolo dell’occidente

In un mondo che sta cambiando in questo modo l’occidente non deve rassegnarsi alla marginalizzazione, ma trovare strategie nuove per risolvere i problemi, e mantenere una posizione di primo piano nel nuovo panorama. Difficilmente sarà la nascente Unione Europea ad infilarsi nelle brecce lasciate aperte dal declino americano. Nel breve periodo, infatti, l’Europa potrebbe rivaleggiare con gli USA, ma ha un handicap quasi insuperabile: la demografia. L’unico argine al progressivo invecchiamento sembrerebbe l’immigrazione, che però riesce a malapena a non far calare la popolazione, e il maggior sertbatoio di immigrati, il medio oriente, si sta dimostrando difficilissimo da integrare.

Per gli USA invece, che non hanno questo problema, Zakaria propone delle idee interessanti. Imporre la soluzione con la forza non risolve nulla: ci vuole più multilateralismo, la sensazione che le azioni, in qualche modo, siano condivise dal resto della comunità internazionale. Il confronto tra le due guerre del Golfo rivela i grandi errori di politica estera degli ultimi anni. Da notare che Zakaria non identifica la legittimità internazionale con l’ONU (per lui anche l’intervento in Kosovo era pienamente legittimato). L’idea è quella di un internazionalismo a la carte, in cui le varie organizzazioni, o anche alleanze ad hoc, vengono usate di volta in volta per risolvere le crisi che si presentano. È importante che l’America riesca a sfruttare l’enorme soft power di cui dispone, che non si chiuda al mondo,  perché l’immigrazione e l’apertura verso gli altri sono la vera forza storica degli Stati Uniti, e che continui ad investire sull’istruzione d’elite, la ricerca e sviluppo, conservando il ruolo di maggior innovatore tecnologico globale.

Se queste premesse saranno rispettate allora l’America avrà la forza di diventa una specie di “hub” della politica mondiale, prendendo a modello l’azione politica di Bismarck nell’Europa del XIX secolo. Gli Stati Uniti devono diventare, per ogni nazione, un partner più affidabile di qualsiasi altra nazione. In questo modo il paese, rimane il centro della politica mondiale, sia pure in stretta collaborazione con le potenze emergenti. A dimostrazione che la politica americana è rimasta indietro rispetto alla società l’autore fa l’esempio delle multinazionali USA, in grado di formare alleanze locali,e di rimanere così dominanti a livello globale.

Come europeo ed occidentale spero che Zakaria abbia ragione, e che in qualche modo il nostro modello rimanga quello di riferimento per molti anni a venire. Pur con tutti i suoi difetti e le sue contraddizioni c’è ancora un sogno americano, ed è quello cui, in qualche modo, molte persone al mondo aspirano.

  1. L'ho comprato prima di Natale, sto leggendo Democrazia senza libertà e poi passo a questo. La tua recensione promette bene.

  2. È un libro che mi è piaciuto molto, l'ho terminato con la sensazione di aver trovato uno sguardo molto lucido sul grande cambiamento storico in corso.

    Peccato solo che il Vecchio Continente ci faccia poco più di una comparsata.

  3. Anch'io mi auguro che Zakaria abbia ragione. Quanto all'India, però, non ho dubbi: non si disgregherà (non l'ha fatto finora, e il peggio è alle spalle) e andrà a ricoprire il ruolo geopolitico che le spetta.
    ciao e complimenti per il blog
    Marco/MilleOrienti